Truman Capote-Questa cosa chiamata amore al Piccolo Bellini. Recensione

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Truman Capote-Questa cosa chiamata amore al Piccolo Bellini. Recensione

Capote è il Thomas Chatterton moderno:senza dubbio brillante,senza dubbio incandescente,senza dubbio maledetto” . James Michener

“Non mi importa cosa la gente dice di me finchè non è vero”. Truman Capote

 

Il Piccolo Bellini di Napoli ospita fino all’8 marzo lo spettacolo Truman Capote-Questa cosa chiamata amore di Massimo Sgorbani con Gianluca Ferrato per la regia di Emanuele Gamba. Le scene sono si Massimo Troncanetti e i costumi di Elena Bianchini.

Il titolo dello spettacolo si ispira a una canzone di Cole Porter intitolata What is this thing called love che ha un ruolo significativo nella pièce nel ricordare le atmosfere anni ’50 da cui emerge un Truman Capote dalle mille sfaccettature: dandy, cinico, perduto, nostalgico, appassionato, eccessivo, irriverente e beffardo, insomma un Oscar Wilde contemporaneo amato e odiato.

L’autore di Miriam, Colazione da Tiffany, A sangue freddo, Preghiere esaudite incarna il sogno americano ma si ribella al perbenismo e al conformismo di una società bigotta e zotica. Il ragazzotto nato a New Orleans nel 1924 che arriva a essere ospitato e osannato nei salotti di New York e che muore a Los Angeles nel 1984 è scomodo e fa scandalo perché odia qualsiasi omologazione e critica ferocemente il bel mondo del jet set. La sua omosessualità è mal tollerata, i suoi eccessi riprovevoli, il suo esibizionismo eccessivo. Eppure la vita non gli ha risparmiato nulla: il divorzio dei genitori all’età di sei anni, l’ospitalità a casa di parenti che lo tollerano appena, le visite occasionali di una madre, Lillie Mae Faulk morta suicida nel 1954, che durante gli incontri con i suoi amanti lo chiude al buio in una stanza d’albergo, un padre che si fa vivo all’apice del suo successo per chiedergli favori e soldi, i suoi compagni di college che lo deridono e beffeggiano per i suoi atteggiamenti effeminati e la sua voce stridula, infantile e cantilenante, i tanti uomini incontrati e posseduti e non ultimo l’abbandono da parte del suo compagno storico lo scrittore Jack Dunphi. Persino le sue ceneri hanno vicende travagliate: spartite e mai più ricomposte tra i suoi amici più cari tra i quali ricordiamo la scrittrice Harper Lee, autrice del romanzo Il buio oltre la siepe, Premio Pulitzer 1961, in cui Truman Capote appare ritratto nel bambino Dill.

Nelle note di regia si legge:«Non ho preteso di scrivere una biografia teatrale di Truman né un’ambiziosa interpretazione della sua figura letteraria. Tanto meno di portare sulla scena quel che lui ha già detto meglio di chiunque altro. Solo di rendere conto di quel che ogni grande scrittore continua a dire anche a chi lo legge a distanza di anni. Ho solo cercato di raccogliere quello che lui ha seminato».

In una recente intervista rilasciata a Mauro Sesia per il quotidiano la Repubblica Gianluca Ferrato spiega la genesi dello spettacolo:«Ero affascinato dalla figura di Capote ma sono stati i film che mi hanno convinto a dargli una dimensione teatrale, sia A sangue freddo del 2005 con Philip Seymour Hoffman, sia Una pessima reputazione del 2006 con Toby Jones e Sandra Bullock. Ero a New York quando nel 2014 morì Philip Seymour Hoffman e, portando un fiore di fronte alla casa dove fu trovato, decisi che avrei realizzato questo sogno». E alla domanda:”Perché proprio Truman Capote ?”, risponde: «Per restituire valore a un diverso. É stato un grandissimo scrittore, coraggioso, ha avuto una vita straordinaria, pur avendo sofferto molto. Penso sia morto d’amore. Nella sua opera c’è il segno tangibile del sangue; il suo essere meravigliosamente disperato me lo avvicina e mi fa sentire l’urgenza di raccontarlo».

E, infatti, Gianluca Ferrato sa entrare come pochi nel personaggio Capote, guidato da un testo potente e da una regia puntuale. Ne fa propri gli eccessi senza scivolare nella caricatura, prende con leggerezza i dolori e le avversità della vita del grande scrittore contenendole in un caldo abbraccio alle future generazioni, trasforma i suoi rifiuti e le nostalgie in abbandoni carichi di malinconia o di rancore per le persone conosciute e frequentate: Elizabeth Taylor, Humphrey Bogart, Lauren Bacall, Tennessee Williams , Ernest Hemingway, Ronald Reagan, Andy Warhol, Jackie Kennedy, i fratelli Kennedy che vengono presentati al pubblico con due gigantografie inquietanti dei loro corpi in obitorio e poi LEI , Marylin Monroe che lo attende e lo accompagna finalmente in un luogo dove non esiste più sofferenza alcuna.

Tutto questo accade su una scena spoglia, a sipario aperto. Un nero tavolo che contiene una foto giovanile di Capote, quella foto che lo segnerà per tutta la vita dove appare sdraiato su un divano in una posa indolente e forse lasciva,alcune sedie con dei cartellini con su scritto i nomi delle dive di un passato recente Greta Garbo, Bette Davis…, un telone bianco dove vengono proiettate figure geometriche in bianco e nero che danzano al ritmo di famosi brani musicali degli anni ’50 e ’60 e le foto di un guerrigliero vietcong ucciso da un soldato americano e quella finale con Marylin, icona della sua stessa fragilità.

I cambi d’abito sono repentini e sottolineano i vari passaggi di una vita vissuta nel tormento e nell’estasi. La canottiera viene presto sostituita da una vestaglia da camera che scivola per fare posto a un gilet e a un paio di pantaloni e ancora due smoking, uno nero e uno bianco completi di papillon e una corona per ricordare la festa delle feste data dallo scrittore nel 1966 anticipando quella altrettanto leggendaria di Freddie Mercury. Sì, perché anche nell’immaginario collettivo, lo smoking lo indossa chi si è inserito a pieno titolo nel bel mondo del jet set e fuma sigari cubani e beve Vodka Martini… per tutti! Ma Capote-Ferrato attendono ancora la felicità sancita nel preambolo della Costituzione americana, l’ accettazione incondizionata del diverso e non la semplice e ipocrita tolleranza, la vera libertà rispettosa delle minoranze, il sogno americano di un’ascesa sociale completata da una vera integrazione.

Oggi più che mai tali obiettivi sono lontani in un’America che esclude, pronta a sparare anche su se stessa. Truman Capote aveva già colto i segnali di una violenza inaudita nella guerra in Vietnam, nell’uccisione dei fratelli Kennedy, nella family di Charles Manson, nella strage che fa da sfondo al suo capolavoro A sangue freddo. L’America di oggi ha paura dei Perry Smith e dei Dick HichocK che hanno la sensibilità di mettere un cuscino sotto la testa ai cadaveri della famiglia Clutter…

Struggente nella pièce il dialogo di Capote-Ferrato agli autori della strage in un commovente ricordo del suicidio della madre. Ma ecco che le Preghiere esaudite hanno la struttura di una pistola: impugnatura, grilletto, canna e proiettile. Il giullare spara e colpisce tutti con la sua genialità.