«Da bambina amavo vestirmi  con gli abiti dei miei genitori per mettere in scena i personaggi dei testi teatrali che leggevo». Intervista a Martina Galletta

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«Da bambina amavo vestirmi  con gli abiti dei miei genitori per mettere in scena i personaggi dei testi teatrali che leggevo». Intervista a Martina Galletta

L’abbiamo vista nel film su RAI1 “Permette? Alberto Sordi” di Luca Manfredi, nel ruolo di Giulietta Masina, Martina Galletta, non solo è una bravissima attrice ma anche una brillante compositrice, ha firmato ed eseguito le musiche originali dello spettacolo ‘Lezione da Sarah’, cui recita al fianco di Galatea Ranzi, ed era pronta a ripartire a metà aprile con la tournèe, ma tutto è sospeso a causa del Covid-19, ma sarà presto anche nel cast di un’importante serie internazionale in onda su Sky.
Come nasce la tua passione per la recitazione?
«La passione per la recitazione credo sia nata con me. Fin da piccolissima ho iniziato a leggere testi teatrali, a “metterli in scena” con le mie amiche, a travestirmi con gli abiti dei miei genitori. Ricordo che a circa dieci anni mi ero messo in testa di rappresentare la Maria Stuarda di Schiller e, credo anche di averlo fatto, nel salotto di casa. Giuro! Avevo anche una parlantina velocissima, per cui erano tutti convinti che alla fine avrei lavorato in radio».
C’è stato un momento dove hai capito che questa passione poteva diventare un lavoro?
«Per questo devo ringraziare tantissimo la mia famiglia, che non mi ha mai ostacolato in questa scelta così difficile, anzi, mi ha sempre sostenuto. Una cosa, però, è stata messa in chiaro fin da subito: per fare l’attore professionista bisogna studiare. Mi sono preparata, quindi, per tutta l’estate dopo la maturità con un allievo del Piccolo Teatro e ho avuto la grande fortuna di essere ammessa alla scuola Paolo Grassi, dove mi sono formata e ho trascorso tre meravigliosi, fondamentali anni della mia vita. Mentre stavo ancora studiando sono stata presa dal regista Alessandro Genovesi per la commedia Happy Family, prodotta dal Teatro dell’Elfo. Abbiamo girato per anni in tournée, e senza neanche rendermene conto ho iniziato il mio percorso da attrice professionista».

              
Hai lavorato nell’ambito teatrale, televisivo e cinematografico. Che differenza di approccio hai riscontrato tra queste?
«Credo che siano fondamentalmente tre lavori diversi. In teatro si vive nel “qui e ora”, non esistono seconde occasioni, c’è una comunicazione attiva e diretta tra attore e spettatore. È un lavoro che richiede pazienza, studio, cultura, lavoro di squadra, coraggio.  Diverso è il mondo della televisione: i tempi sono molto più stretti, bisogna avere la capacità di rimanere concentratissimi nonostante il grande numero di distrazioni che ti circondano, e saper gestire le lunghe pause e i tempi morti senza perdere il focus. Il cinema è un mondo ancora differente: più onirico a volte, strettamente interconnesso con l’interiorità dell’attore, che deve creare un rapporto di reciproco scambio col regista, coi partner e soprattutto con la macchina da presa». 
Hai lavorato con personaggi di un certo spessore, che cosa ti ha lasciato ognuno di loro e qual è l’insegnamento più grande che porti nel cuore?
«Ho avuto la fortuna di lavorare e di studiare con dei grandi maestri, che non smetterò mai di ringraziare per tutto quello che mi hanno lasciato. Sono rimasta folgorata dagli insegnamenti di Anatolij Vasiliev, che ha completamente cambiato il mio modo di vedere il Teatro e l’arte. Ho avuto il privilegio di essere diretta da registi immensi, non li cito tutti per ragioni di tempo. Ho anche recitato con colleghi pazzeschi,  ultimo Edoardo Pesce, un attore straordinario. L’insegnamento più utile, però, me lo diede una mia insegnante, Beth Boeke, in Paolo Grassi. Io ero una gran chiacchierona e pensavo di avere sempre la risposta per tutto. Un giorno mi disse: “Martina, tu devi... stare zitta! E ascoltare il regista”. Giuro che da allora l’ho sempre fatto».
Sei anche compositrice, hai firmato ed eseguito le musiche originali dello spettacolo ‘Lezione da Sarah’, in cui recita al fianco di Galatea Ranzi. Come ti sei approcciata anche in questo campo artistico?
«Ho sempre studiato musica, soprattutto grazie al mio amato nonno Dante, che mi ha messo davanti al pianoforte all’età di tre anni. Ho proseguito gli studi al conservatorio privato di Milano, fino a quando non ho dovuto scegliere definitivamente che percorso prendere e ho scelto quello attoriale. Ma non ho per questo abbandonato la musica: continuo a cantare e a suonare il pianoforte e anche il mio nuovo amore, la fisarmonica. Ho iniziato a comporre quasi per gioco: non credevo sinceramente di esserne in grado! Un giorno mi è venuta un’ispirazione e mi sono messa al pianoforte, e quando il regista dello spettacolo, Ferdinando Ceriani, mi ha chiesto se conoscessi un musicista per comporre le musiche di Lezione da Sarah, timidamente gli ho dato il mio spartito. Ed era perfetto! Piccole alchimie che posso accadere solo in teatro».


Parliamo del film “Permette? Sono Alberto Sordi” dove hai interpretato Giulietta Masina. Come ti sei preparata per interpretare questo ruolo?
«Innanzitutto, ho rivisto tutti i film e tutte le interviste che aveva rilasciato Giulietta nel corso degli anni, peraltro in varie lingue. Ho cercato di studiare la sua voce, così scura e particolare, la sua mimica facciale, il suo modo di muoversi, di sorridere, di piangere.
Ho letto le testimonianze delle persone che hanno avuto la fortuna di conoscerla. Mi sono rimaste particolarmente nel cuore le ultime lettere che le ha scritto Fellini prima di morire. Traspariva dalle sue parole un amore straziante e una stima infinita, per quella che è stata la sua musa più autentica. Nonché, nonostante tutto, la donna della sua vita».
Che cosa ti affascina del tuo personaggio e in quali aspetti hai avuto difficoltà nell’immedesimarti?
«Beh, di Giulietta mi affascina… tutto.Era una donna colta, elegante, intelligente, con una artisticità profonda che coadiuvava  una mimica buffa, quasi da clown (non a caso veniva paragonata a Chaplin) e un portato tragico immenso. Riusciva a non mettere filtri né sovrastrutture tra se e gli spettatori, i suoi occhi erano lo specchio della sua anima. La sua umanità arrivava oltre lo schermo e ti colpiva al cuore. La difficoltà più grande... fumare tutte quelle sigarette! Giulietta era una fumatrice accanita e abbiamo raccontato anche questo aspetto nel film. Ma io ho smesso sei anni fa ed è stata dura...». 
Sei anche attiva nel sociale, nello specifico contro lo sfruttamento della prostituzione. Ci parli di questo progetto?
«Tè nero notte è un progetto nato qualche anno fa da un gruppo di ragazze, due registe (L. Tassi e C. Belgioioso) e quattro attrici (Nastassia Calia, Gabriella Italiano, Alice Protto e la sottoscritta). Collaborando con i padri somaschi e altre associazioni che si occupano di portare conforto materiale e umano alle ragazze di strada, abbiamo ascoltato le testimonianze delle vittime dello sfruttamento e abbiamo cercato di riportare le loro voci e le loro verità all’interno di uno spettacolo che finalmente restituisse la parola a chi l’ha persa. Questo progetto, che ha girato per anni in tutta Italia, ha per me doppiamente valore perché mi ha permesso di conoscere tre attrici straordinarie, a cui poi sono rimasta legata da un’amicizia fraterna».
Cosa diresti adesso alla Martina bambina che sognava di fare l’attrice?
«Continua. Sogna. Sarà dura. Ma sarà meraviglioso».