Charles Aznavour ci ha lasciato un grande patrimonio ecco cosa disse su “Quel che si dice” e altro

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Riprendo alcuni stralci di una mia intervista fatta per mydreams.it  a giugno 2014 a Roma.

Inevitabile non amare un uomo di novant’anni che da sempre ha creduto nei valori umani come l’amore, la verità e la solidarietà. Il grande fra i grandi artisti, Charles Aznavour ha affrontato con dignità e coraggio il pubblico e la critica  parlando di argomenti proibitivi per la sua epoca, ma ha vinto da sempre qualsiasi tipo di sfida.
La carriera di Aznavour inizia prestissimo, a nove anni, ma diviene famoso nel 1946, dopo l’incontro con Édith Piaf che lo portò in tournée in Francia e Stati Uniti.
Dal suo primo successo popolare, Sur ma vie, Charles Aznavour non ha sbagliato un colpo, la sua fama è diventata internazionale grazie ad alcuni capolavori come “Tu t’laisses aller” (1960),  “La mamma” (1963), “For Me Formidabile” e “Que c’est triste Venise” (1964), "Ed io tra di voi" (1968)  e “Comme ils disent” (1972), una delle prime e più belle canzoni scritte sul tema dell’omosessualità.
Autore, compositore, attore e diplomatico franco-armeno, Charles Aznavour si esibirà al Centrale Live del Foro Italico di Roma il prossimo primo luglio , unica data in Italia del suo tour.

Perché un uomo, un artista della sua età, non smette ancora di lavorare?

«Andare in pensione per me sarebbe come un ingresso nella morte e non ho assolutamente voglia di morire.»

Lei, negli anni ’60 e ’70, ha sfidato la censura presentando canzoni con testi molto forti…

«Non ho mai voluto che alle mie canzoni ci fossero stati dei tabù. Ho sentito il bisogno di raccontare le storie così come erano. Magari il pubblico all’inizio non le accettava molto bene, però, a poco a poco si abituava. Bisogna raccontare la verità, parlare di qualsiasi tabù, però è importante evitare la volgarità, perché la volgarità uccide tutto ciò che è poetico e tutto ciò che è vero.
Voglio molto bene ai miei colleghi di mestiere, non sono assolutamente geloso, conosco le loro difficoltà e dico spesso che se vogliono essere amati dal pubblico, devono prima amare il pubblico.
Ripeto, quando dico che non esistono tabù, voglio dire che bisogna poter parlare di qualsiasi argomento, correndo il rischio di non essere ascoltato. L’importante è parlare di questi argomenti, dando al pubblico anche il tempo di avvicinarsi a queste tematiche nuove.»

                 

Com’è nata e a chi si è ispirato quando ha scritto la canzone “Comme ils disent”, tradotta in italiano insieme con Giorgio Calabrese con il titolo “Quel che si dice”?

«Ho avuto tanti amici omosessuali, che ora sono scomparsi. Sono quelli che rimpiango di più. Soprattutto cinque amici omosessuali, che avevano una sensibilità diversa, un gusto molto raffinato, particolare, un grande senso artistico. È sempre meglio frequentare persone come loro, piuttosto altre che non danno niente. Quando ho scritto questa canzone, mi è stato chiesto chi l’avrebbe cantata. Naturalmente ho risposto che l’avrei fatto io.
Tutti ritenevano che sarebbe stata una cosa molto difficile, poiché io non sono omosessuale, invece, è stato veramente un successo fin dall’inizio, questo dimostra che il pubblico è molto più intelligente e sensibile di quanto noi pensiamo.
Credo sia molto importante che ogni canzone abbia una sua storia. Tutte le canzoni che ho interpretato hanno un motivo per cui le ho cantate. Ad esempio, ho cantato per i non udenti, ma prima ho imparato il linguaggio dei segni. Non basta aprire la bocca e cantare, non si tratta di cantare semplicemente qualcosa  al pubblico e basta, ma di donarla.»

Il 3 ottobre prossimo sarà a Mosca, canterà Comme ils disent?

«Sì, perché ho sentito dire che Putin è contro gli omosessuali. Credo che condannare una popolazione per questo motivo non sia una cosa giusta. Però, se mi dovessero chiedere di non cantarla, forse non lo farò, perché io ho lo status di ambasciatore di un paese vicino, che è molto aiutato dalla Russia, per cui potrebbe essere un errore, non politico ma diplomatico. Ad ogni modo si vedrà al momento.»

Tempo fa i giornali riportavano che lei si lamentava dell’Italia perché l’avevano dimenticata, che non c’erano più rapporti…

«Non bisogna leggere troppi giornali, perché spesso veramente dicono qualsiasi cosa. Non è che ho detto che non avrei più cantato in Italia, assolutamente no! Sono sempre in compagnia degli stessi italiani, che tra l’altro, sono anche qui con me. I nostri legami non si sono mai allentati, ho sempre collaborato con gli italiani. Se ci fossero stati realmente dei problemi, l’avrei detto ad alta voce, forte. In Francia usano questa espressione “grandeur”, che sono una grande voce, dico veramente tutto quello che penso, se lo voglio. Quando non sono stato contento della critica l’ho detto. Ho scritto addirittura una canzone sulla critica (La critique, ndr).»

                  

Lei ha collaborato e conosciuto molti artisti, ma come vede il mondo della musica oggi?

«Ci sono stati degli ottimi artisti, anche italiani, che hanno collaborato con me, di ottimo livello. Effettivamente la televisione, la radio e internet, oggi, hanno cambiato molto il mondo dello spettacolo, soprattutto per i giovani. Ad esempio, noi facevamo il giro di tutte le città per farci conoscere. Devo ammettere che per i giovani è molto più difficile, perché hanno così tante cose, soprattutto tante possibilità attraverso internet, ma non è semplice ritrovarsi.
Penso che dobbiamo insegnare qualcosa ai giovani, senza sconvolgerli, e senza neanche dire che quello che fanno non va bene. È importante accettare qualsiasi nuovo movimento quando nasce per poi aspettare almeno cinque o sei anni per capire come evolve, come va, cosa che spesso i critici non fanno, non hanno questa capacità di aspettare, invece, è essenziale farlo, senza condannare o osannare.»

Ha detto di aver collaborato con diversi ottimi artisti italiani, può raccontarci qualche aneddoto?

«Preferisco non rispondere a questa domanda, perché ho l’abitudine di non parlare troppo degli altri artisti. Ho paura di dimenticarne alcuni e non vorrei offendere nessuno. Purtroppo ho questa paura di dimenticare. Prima abbiamo citato Calabrese, ma c’è anche Mogol e tanti altri nomi, quindi, preferisco non rispondere.