Liguri@Home, a Roma i sapori della Liguria. Intervista alla Chef Sybil Carbone

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Liguri@Home, a Roma i sapori della Liguria. Intervista alla Chef Sybil Carbone

“E a 'ste panse veue cose ghe daià

cose da beive, cose da mangiä”

(E a queste pance vuote cosa gli darà

cose da bere, cose da mangiare)

cantava Fabrizio De Andrè nella sua “Crêuza de mä”. Sicuramente la Chef Sybil Carbone, nella sua Liguri@Home, vi darà da mangiare la tradizione della Liguria. Nella sua focacceria, a Roma, si respirano i profumi e si gustano i sapori della Liguria: focaccia classica, con cipolla, con lo stracchino, con pomodoro fresco e origano, Sardenaria e il pesto, realizzato con gli ingredienti della tradizione. Le focacce impastate con le sue mani hanno, come ha detto la stessa Sybil, le sue impronte digitali.

Io non solo ho avuto il piacere di intervistare la Chef Sybil Carbone ma anche di assaggiare le sue buonissime focacce. Se ancora non siete passati a trovarla, dopo aver letto l’intervista, vi consiglio decisamente di andare alla sua focacceria. 

Hai partecipato ad Hell’s Kitchen, prima come concorrente e poi come sous chef dello chef Carlo Cracco, adesso sei a Roma ed hai portato qui parte della tua Liguria, ma non in un ristorante, in una focacceria. Perché questa scelta?

«In realtà questa scelta non è stata pensata, ma è stato il destino che mi ci ha portato,  perché sono venuta a Roma per amore, mi sono sposata e, avendo ceduto al mio socio le quote del ristorante che avevo ad Alassio in Liguria, pensavo di aprire un ristorante. Poi, dopo essere andata in giro per i primi due mesi e vedendo la tipologia dei locali già presenti, mi sono accorta che non esisteva una focacceria ligure. Avevo trovato solo una "cosa" che chiamavano “pizza genovese”, che da noi non esiste, da noi non puoi chiamarla pizza, quindi, non era rappresentata la Liguria ma c’era la Puglia, la Campania, la Sicilia ma non la Liguria. E allora ho deciso di aprire la focacceria, mi piaceva l'idea di portare a Roma la mia terra. Quando vai in un’altra città senti ancora di più di appartenere alla tua terra, forse per nostalgia ti manca la casa ed è un modo per sentirti vicino. Qui mi sento a casa mia, infatti, si chiama Liguri@Home».

La tua cucina è più innovazione o tradizione?

«Oltre allo Chef Carlo Cracco, per motivi televisivi, che è un grande Chef sia per le sue capacità manuali sia per le sue capacità di palato e lavorativa, il mio punto di riferimento è stato lo Chef Massimo Bottura che ha sempre detto: “Avere i piedi ben radicati a terra e guardare sempre molto lontano”; quindi, ho sempre cercato di essere molto creativa. Vengo dall’Accademia delle Belle Arti, quindi, fa parte di me l’essere creativa, ma fa parte di me anche la tradizione. Il coniglio l’ho sempre mangiato, io sono cresciuta con la carne di coniglio. Da noi il coniglio e l’orto fanno parte della tradizione. Cucinare, quindi, tenendo sempre presenti le ricette della nonna, ma innovandole».

Hai dichiarato che la tua cucina è una lotta tra le tue mani e il tuo cervello. Cosa intendi?

«Quella è la mia lotta esistenziale, al di là della cucina (ride). In  cucina, ma anche nella vita, penso sempre al limite. Delle volte ho pensato a dei piatti difficilmente realizzabili e nella vita è un po’ così, mi perdo nei pensieri. È un po’ la mia lotta personale, sono alla ricerca del mio “centro di gravità permanente” per dirla alla Battiato».

Hai iniziato come autodidatta, poi Hell’s Kitchen e dopo l’esperienza all’Osteria Francescana dello Chef Massimo Bottura. C'è un aspetto di tutte queste esperienze che hai portato in Liguri@Home?

«In realtà tutte, perché una persona è fatta da tutte le esperienze vissute. Un cuoco, come qualsiasi lavoro che si faccia, ne sono propria sicura, non è soltanto l’esperienza lavorativa in sé, un  cuoco è tutto quello che ha vissuto. In cucina, il soffritto e il taglio sono fondamentali però, quello che fa un cuoco, deriva anche dal film che ha visto, dalle mostre che ha visto, dai libri che ha letto e dalla musica che ha ascoltato. Crescere e alimentare la tua anima e la tua cultura, indipendentemente dal lavoro che fai, ti innalza e ti permette di fare il tuo lavoro al meglio. In una società, come quella odierna, dove cercano di omologarti e di non farti crescere, per essere un grande cuoco, per essere una grande persona, indipendentemente dal lavoro che fai, devi sempre innalzarti».

Puoi raccontarci qualche anedotto che ti è successo durante Hell’s Kitchen?

«Quello che è successo ad Hell’s Kitchen, non è un vero e proprio anedotto, ma era un continuo richiamo alla mia postura. Sai, questo lavoro in focacceria, ti porta ad essere un po’ gobba, quindi, quello che non scorderò mai e quando Cracco mi prendeva le spalle e mi tirava indietro dicendomi “Stai dritta”. Come anche la cura delle mani che sono fondamentali, non perché avessi le mani brutte, però quando una donna fa questo lavoro, alla fine, non si cura come dovrebbe. Il brutto di essere donna cuoca è che diventi il brutto degli uomini, la donna cuoco deve essere donna anche in cucina, invece, si mette sempre in competizione con gli uomini e alla fine diventa il brutto degli uomini».

Arte e cucina e  musica e cucina. A me piace abbinare la musica alla cucina e quindi ti chiedo se il tuo stile di  cucina o un tuo piatto fosse una canzone che canzone sarebbe e perché?

«In questo momento sono serena e, quindi, ti dico “Centro di gravità permanente”, magari tra due giorni cambio e ti dico “Psycho Killer” dei Talking Heads (ride)».