«L'energia, la follia, l'umanità che è emersa  e che ho potuto conoscere e scoprire a Napoli non lo dimenticherò mai.» Intervista a Terry Gilliam

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«L'energia, la follia, l'umanità che è emersa  e che ho potuto conoscere e scoprire a Napoli non lo dimenticherò mai.» Intervista a Terry Gilliam


L'uomo che uccise Don Chisciotte è l’ultimo film del regista Terry Gilliam, con Adam Driver e Jonathan Pryce uscito dopo decenni di tentativi, avendo difficoltà anche nella distribuzione e affrontando dispute legali e problemi economici. E quest’ultimo film ha rispettato l’essere visionario di Gilliam che ha sempre attinto alle tradizioni assurde e surrealiste, come nei suoi film Brazil, Le avventure del Barone di Munchausen o Parnassus - L'uomo che voleva ingannare il diavolo.
Inizia la sua carriera nel gruppo comico britannico Monty Python di grande successo per le loro battute acutamente intellettuali e poi Gilliam intraprende la carriera da regista e nel suo secondo film Brazil, c’è uno spettacolare Jonathan Pryce, il quale collaborerà anche più tardi in altri film, fino all’ultimo Don Chisciotte.
Da anni continua l'amore con Jonathan Pryce. Cosa la convince ancora a lavorare con questo attore? 
«Jonathan rende brillanti, quando lui le interpreta, anche le sceneggiature più mediocri. Come si dice in italiano è “senza vergogna”, non ha nessun rispetto per il nostro lavoro, è convinto che lui, con la sua recitazione, può sempre migliorare quello che noi scriviamo. La parte imbarazzante, però, per me, è che, nella maggior parte dei casi, ha ragione lui.»

Jonathan Pryce e Terry Gilliam. Foto Debora Carotenuto
 

Quanto rimane ancora oggi, nella sua filmografia, di quella grande eredità dei Monty Python che hanno ridisegnato le coordinate della comicità e non solo, dell’attorialità brillante nella tv e nel cinema….
«Il periodo dei Monty Python è stato il più importante nella mia vita artistica. Sono passato dall'essere un disegnatore a far parte di questo gruppo di persone così brillanti che, grazie al supporto totale della BBC, abbiamo avuto la possibilità di fare veramente quello che volevamo, perché non c'era censura, non c'erano dirigenti che ci dicevano questo sì e questo no, ci lasciavano liberi di ridere tra di noi e, probabilmente, siamo riusciti a far ridere anche il resto del mondo. È stata un'esperienza straordinaria e, questo genere di successo ti dà una grande fiducia e pensi vediamo se al di fuori del gruppo, come individuo, come artista singolo, riesco ad avere lo stesso successo e riesco a cavarmela.»
E, infatti, ci è riuscito…
«A quel punto ho cominciato a dire vediamo se riesco a fare delle cose da solo, non ho mai frequentato una scuola di cinema, sono un autodidatta, ho imparato semplicemente facendo quello che ho fatto, un film dopo l'altro e ancora sto imparando molto. Dall’esperienza con i Monty Python ho imparato molto, nel corso degli anni alcuni film sono venuti meglio di altri, però l'unica cosa che posso dire, non c'è nessun film di cui io mi vergogni, come, invece, capita a tanti altri registi che, a volte, fanno veramente dei film orribili. Io c’ho anche provato delle volte, ma non ci sono riuscito a fare dei film proprio brutti e, quindi, non c'è nessun film del quale mi vergogni e questo mi dà un ottimo risultato.»
Con quale tipo di attori le piace lavorare, con un’impostazione più teatrale o cinematografica?
«Per me, la cosa più importante, è lavorare con dei bravi attori che capiscano il personaggio che devono interpretare. Nel film “L’uomo che uccise Don Chisciotte” ho avuto due attori straordinari, da una parte Adam Driver, un attore più cinematografico e anche la sua interpretazione era più concreta, più vicina, più cinematografica, mentre quella di Jonathan era un'interpretazione più teatrale. E in questo equilibrio che sta la bellezza del film, perché se entrambi fossero stati attori più teatrali e, quindi, avessero dato un’interpretazione come quella di Don Chisciotte, sicuramente il film sarebbe stato diverso, mentre erano necessarie tutt’e due le interpretazioni. Il personaggio interpretato da Adam doveva essere un personaggio con i piedi per terra e con il suo essere un attore di cinema, che ha questo tipo di recitazione, si confaceva molto di più al personaggio, mentre il personaggio di Don Chisciotte permetteva questa teatralità e, quindi, la recitazione più teatrale di Pryce si prestava bene al ruolo, anche se lui dice che, il momento che gli piaceva di più del film, è quando il personaggio di Jonathan Pryce ancora non è diventato Don Chisciotte, quando è semplicemente un anziano molto vulnerabile e dove non si può neanche nascondere dietro questa teatralità dell'agitazione che ci sarà quando poi incarna Don Chisciotte.»

                         
Alcuni anni fa lei ha girato una pubblicità per una nota marca di pasta a Napoli. Che ricordo ha della città di Napoli in particolare?
«Non era una campagna pubblicitaria, nel senso che i Garofalo sono stati molto intelligenti, non chiesero una campagna pubblicitaria o degli spot classici, diedero a diversi registi dei soldi per fare dei cortometraggi nei quali non c'erano limiti. È vero, dovevano essere ambientati a Napoli e non dovevano esserci troppi omicidi in questi cortometraggi, però non necessariamente bisognava far vedere o inquadrare la pasta, c'era una grande libertà, quindi, hanno avuto un’idea brillante e per me è stato bellissimo lavorare per un po' di tempo a Napoli. L'energia, la follia, l'umanità che è emersa  e che ho potuto conoscere e scoprire a Napoli e anche la maniera di guidare dei napoletani, non dimenticherò mai il mio autista con una mano sul volante, con l’altra il telefonino e con un'altra mano mandava a quel paese le persone e prendeva il senso unico nel senso sbagliato ed io pensavo adesso tutti lo mandano a quel paese, invece, tutti gli facevano il gesto bravo. Insomma, anche la maniera di guidare a Napoli mi ha particolarmente colpito.»
Come si chiamava il corto?
«“The Wholly Family” che ha ricevuto l'European Film Award come "Miglior cortometraggio" battendo anche tanti giovani che partecipavano. Molte carriere cominciano dirigendo un cortometraggio e poi piano, piano fai un film più lungo e poi diventi un regista di Hollywood. Io ho fatto il contrario, a un certo punto, sono tornato, come il mio autista napoletano, prendendo il senso unico nel modo sbagliato.»