"Vento di terra, vento di mare" è l'ultimo progetto dei Renanera con Vittorio De Scalzi. Intervista

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Un nuovissimo progetto per la musica etno world italiana è "Vento di terra, vento di mare" che vede insieme Vittorio De Scalzi, artista di grande popolarità per la musica, non solo italiana, progressive e d’autore, fondatore de “I New Trolls e i lucani Renanera, al momento la band etnica più rappresentativa della Basilicata. Nel nuovo lavoro negli stores digitali dal 3 Maggio 2019 su etichetta CNI Compagnia Nuove Indye, la casa discografica che ha scoperto gli Almamegretta, ha lanciato Enzo Avitabile e gli Agricantus, i Renanera e Vittorio De Scalzi si sono cimentati insieme in brani in lingua genovese e in lucano, mischiando fonemi, ritmi ed espressività melodico e ritmiche.

Vittorio De Scalzi con Unaderosa (cantante) e Antonio Deaodati (compositore, arraggiamenti tastiere, vocoder e cori) dei Renanera, ci hanno presentato il loro progetto "Vento di terra, vento di mare" e si sono raccontati alle nostre pagine.

Questo album, Vento di Terra vento di mare, collega le culture del nord e del sud, ma le collega con delle sonorità che provengono da tutto il mondo...

Vittorio De Scalzi:

«Certo, è proprio così, un'insieme di culture diverse che non sono solo cultura genovese e quella della Basilicata, ma è la cultura di tanti paesi del Mediterraneo che citiamo usando strumenti di tutta l'area. Fabrizio De André ha aperto le porte per poter fare questo, anche se altri tentativi ce ne erano già stati in anticipo, ma è stato lui a dare spazio e voce a una lingua dialettale che non fosse per forza napoletano, una lingua più esotica che è il genovese. Ha tolto il guinzaglio. E questo vale per tutti i dialetti, perché finalmente i dialetti vengono accettati da chi non li parla con curiosità come se fossero lingue diverse. Quante volte sentiamo brani in inglese senza capire mezza parola e dire: “ma che bella atmosfera in questo brano”. E allora perché non usare i dialetti? Poi, chi vuole, si va a cercare la traduzione. Storie come quelle dello sbarco dei Saraceni, accomunano Liguria e Lucania attraverso le azioni dell'ammiraglio Andrea Doria, di cui si racconta nei brani "Salvace sta terra" o del pirata Dragut di cui in modo intrinseco si parla in "Quante botte"».

La collaborazione con i Renanera è iniziata già qualche anno fa...

«Abbiamo già collaborato sia discograficamente sia con diversi per testare l'empatia del progetto sul pubblico e fare in modo che si creasse un affiatamento tale da trasformarsi nell'alchimia che è venuta fuori nel disco. Ci piacerebbe far ascoltare questo progetto anche fuori dall'Italia, se possibile, dato che è colmo di contaminazioni».

In quest'album ci sono brani dei New Trolls che hanno scritto la storia della musica come "Faccia di cane" e con questi arrangiamenti, con la voce di Unaderosa e quella di Lino Vairetti, avete messo in risalto quella che è la storia contenuta nelle canzoni. In “Quella carezza della sera” la voce di Unaderosa sembra essere la voce di quella mamma cantata appunto nella canzone o in "Una Miniera" sembra di sentire il minatore parlare e sembra anche di sentire il rumore della pala che scava...

«Era quello l'intento, infatti, attraverso gli arrangiamenti in chiave etnica abbiamo sottolineato i contenuti sociali e purtroppo sempre attuali delle canzoni dei New Trolls, pur mantenendone la bellezza armonica e melodica che ha reso canzoni come "Quella carezza della sera", fruibili e universali. In passato, mi ero già occupato di musica dialettale tanto che ho diverse canzoni famose nella tradizione genovese. Ce n'è una che tutti credono essere dell'antica tradizione genovese, invece no, è  piuttosto vecchiotta perché l'ho scritta io (ride), che si chiama “Come te bella zena”, quindi ho un collegamento con il dialetto. Il testo di "Faccia di cane" è di De André ma lui non aveva voluto firmarla. L'ha voluta firmare con uno pseudonimo perché eravamo al Festival di Sanremo e lui aveva detto che al Festival di Sanremo non avrebbe mai voluto partecipare».

Mi piace abbinare la musica alla cucina e quindi ti chiedo, se tu fossi un piatto che piatto saresti e perché?

«Io sono legato alla mia terra con il pesto, io faccio il pesto alla genovese, ho partecipato ai campionati mondiali di pesto e sono andato recentemente in televisione ad una trasmissione dove me l'hanno fatto dire (ride) per cui sicuramente deve contenere il pesto però a questo punto bisognerebbe tentare a un melange, un inserimento di qualcosa di Lucano».

Potremmo fare una pasta al pesto con il peperone crusco sbriciolato sopra...

«Ah buono, si può fare con delle trofiette, che sono degli gnocchetti fatti molto sottili, come delle virgole, comunque giù c'è una grande tradizione di pasta fatta in casa».

Questo album, Vento di Terra vento di mare collega le culture del nord e del sud, ma le collega con delle sonorità che provengono da tutto il mondo...

Unaderosa:

«Collega quelle che sono le vicende storiche e anche attuali che hanno poi identificato da sempre il Mediterraneo. Ci sono delle similitudini tra la cultura Ligure e quella Lucana, dovute proprio ad aneddoti storici realmente accaduti, come appunto le invasioni da parte dei Saraceni. Ci siamo resi conto, anche work in progress lavorando con Vittorio e attraverso l'amicizia che c'è con lui, che effettivamente c'è molto in comune tra alcune zone della Basilicata e Genova. Il nostro obiettivo era quello di rispondere ad un quesito preciso: “Da dove arriviamo?” È un po' una domanda retorica, però non prevede una risposta né metafisica né spirituale, ma abbastanza concreta, cioè parlare di storie che non sono equivocabili come quelle dell'Ammiraglio Andrea Doria, dello Sbarco dei Saraceni o comunque rievocare le tradizioni attraverso quelli che sono stati brani di artisti come Antonio Infantino, che era di origine toscana, ma ha rappresentato appieno quella che era la cultura lucana. Noi abbiamo rivisitato la "Hatta Mammona" e Vittorio l'ha riconcepita e cantata in genovese. Quindi il filo conduttore storico unisce le culture del Mediterraneo e arriva in modo diretto alla sensibilità di chi ascoltando si riconosce in un'atmosfera mediterranea».

La collaborazione con Vittorio De Scalzi è iniziata già qualche anno fa...

«Vittorio De Scalzi ha conosciuto a Sanremo il produttore, nonché arrangiatore dei Renanera, mio marito Antonio Deodati, che curava gli eventi collaterali del Festival. Di lì hanno iniziato a chiacchierare su cosa si potesse fare insieme data la simpatia reciproca, e devo dire che, in realtà, non ci aspettavamo  addirittura un disco. L'album è stato costruito in maniera abbastanza ponderata, non è stato un progetto commissionato dalle major e quindi "asettico". Ci siamo realmente innamorati delle storie che poi abbiamo messo in musica. Ci incuriosisce riascoltarlo, perché noi Renanera ci stiamo riscoprendo ed evolvendo, credo. Vittorio ha una cultura musicale molto ampia, per lui questo album  è quasi come suggellare con la musica etnica quelle che sono le sue esperienze musicali a 360 gradi».

In quest'album ci sono brani dei New Trolls che hanno scritto la storia della musica come "Faccia di cane" e con questi arrangiamenti, con la voce di Unaderosa, quella di Lino Vairetti avete messo in risalto quella che è la storia contenuta nelle canzoni. In “Quella carezza della sera” la voce di Unaderosa sembra essere la voce di quella mamma cantata nella canzone o in "Una Miniera" sembra di sentire il minatore parlare e sembra anche di sentire il rumore della pala che scava...

«Sì, è stato tirato fuori il contenuto per quello che è. Anch'io, affascinata dalle melodie immediate di Vittorio, non riuscivo a concentrarmi sui contenuti che, invece, sono molto profondi trattandosi di temi sociali, anche perchè De Scalzi usa spesso un linguaggio poetico e dunque romantico. Forse, con queste rivisitazioni, in chiave etnica e world, si avverte questa profondità dei testi; io li ho sentiti ancora di più sulla pelle perchè sono arrangiamenti concepiti con una prospettiva filmica, come dei vestiti su misura , direi».

I Renanera raccontano la storia, l'anima e la cultura del Sud, della Basilicata...

«Ci capita spesso che ci vengano commissionati brani, così come la Chiesa commissionava il soggeto dei quadri ai pittori, ed è una fortuna, perché, in questo modo, studiamo e siamo alla ricerca e alla scoperta di nuovi argomenti. Ad esempio, l'esperienza con Rai Storia ci ha portato a raccontare storie che non avremmo mai immaginato potessero interessare a qualcuno, perché raccontare del Santo Patrono di un paese come la meravigliosa Maratea, San Biagio, sicuramente non prevede un target commerciale, non passi sulle radio! Si appassiona alla tua musica, sicuramente un pubblico di nicchia col quale riesci ad avere un contatto reale e fisico, rendendoti che non è stato influenzato dai media, ma che  ti ha scelto perché hai raccontato di realtà che in effetti "non interessano" nell'area commerciale della musica, ma che hanno invece la capacità di far sì che cittadini di realtà molto piccole e spesso dimenticate, si sentano rappresentate da questi attualmente sconosciuti "Renanera"; il nostro mordente, la nostra fonte di ispirazione, sono proprio queste persone semplici e dotate di curiosità e forza d'animo».

Quali sono i vostri progetti futuri e ai quali state lavorando adesso?

«Noi stiamo uscendo con tre progetti diversi, infatti abbiamo dovuto mettere un attimo da parte il disco dei Renanera, che uscirà con un libro fotografico con scatti di un fotografo-antropologo di Ferrandina, Francesco La Centra,  che racconta la terra della Basilicata ma anche del resto del Sud Italia. Il disco di Vittorio è anche un "live", in cui ci sono altri suoi brani famosi, quindi prevediamo concerti con lui, com'è già capitato nel 2016. Nel frattempo, però, è stato pubblicato un altro album con Leon Pantarei, il guru delle percussioni. È un artista cosentino che ha vissuto anche in Spagna, infatti i testi sono in calabrese-spagnolo-inglese. Una visione molto moderna di quella che è la tradizione e i nostri ideali sociali e politici. Raccontare troppo la musica può essere tedioso però, la musica va ascoltata! Io ho scelto di scrivere in 3 minuti le cose che voglio dire perché risulto meno prolissa e mi sento "meno in colpa", insomma, non vi annoio, spero. Invito, quindi, le persone all'ascolto, sempre!».

Mi piace abbinare la musica alla cucina e quindi ti chiedo, se voi foste un piatto che piatto sareste e perchè?

«Ahahah (ride), anche perché noi abbiamo delle sfumature culinarie nella musica, in quanto ci occupiamo anche della tradizione. In questo momento preciso, mi viene in mente un peperone rosso crusco perché è croccante e si abbina con molti altri ingredienti, in quanto il suo sapore è camaleontico e, poi, per il colore rosso, che rappresenta questa passionalità autentica di noi del Sud, sempre abbastanza impetuosi, che ci fa stare sempre su questo filo elettrico tanto che  la depressione risulta rara (ride). Adesso immagino questo peperone crusco, forse perché ho voglia di mangiarlo, abbinato ad un buon vino rosso, è il nostro caviale direi. Per onorare Vittorio, visto che lui è quasi "Campione di Pesto", sto mangiando spesso il pesto in questo periodo, come buon auspicio. In chiusura ci tengo a ringraziare Vittorio che, nonostante il suo spessore artistico, ti fa sentire comunque sereno e tranquillo. Io ho scritto  cose alle quali lui ha aggiunto la sua parte autorale e melodica e non mi ha mai “tirato le orecchie”, mai rimproverata, quindi, nonostante la distanza, questo lavoro è venuto fuori come se fossimo stati tutti i giorni insieme. Vittorio si è trovato sempre bene con i contenuti che gli ho fornito e i suoi consigli mi hanno "aperto un mondo", anche grazie a molte stesure armoniche e melodiche che ha composto mio marito, Antonio Deodati. Quindi, grazie Vittorio De Scalzi. Inoltre, ringrazio tutti gli altri componenti dei Renanera: Massimo Catalano, Pierpaolo Grezzi e Nicola Calvano, che hanno collaborato e contribuito alla realizzazione di questo progetto con la loro, passione, professionalità e competenza».

Antonio, veniamo alle sonorità, agli arrangiamenti di questo album...

Antonio Deodati:

«Quello che avrei voluto mettere in un album world, è una serie di strumenti che mi incuriosivano. Abbiamo cominciato questo percorso da un brano, che sembrerebbe essere un corpo estraneo all'album, ma in realtà deriva tutto da questa canzone, "Crêuza de Mâ", che abbiamo realizzato partendo dalle due versioni esistenti, quella appunto di Fabrizio De Andrè e la rivisitazione di Teresa De Sio “'Na strada miezzo 'o mare”. "Crêuza de Mâ", contiene sonorità bellissime e per curiosità, studio e passione e per i suoni che provengono del mondo, ho iniziato ad esplorare e mischiare, ad esempio, la zampogna lucana con strumenti più orientali. Percorrendo questa strada, l'appetito vien mangiando, ho inserito molti strumenti a percussione orientali mescolandoli con quelli lucani. Un apporto molto particolare ce l'ha dato un musicista, che di solito segue Vittorio nei sui live, Edmondo Romano. Lui ha suonato la cornamusa scozzese, chalumeau e low whistle. Questo ha impreziosito moltissimo la tessitura sonora dell'album. Senza disdegnare il mandolino, l'ukulele e il saz, strumenti apparentemente molto comuni però, se usati in un certo modo e messi bene assieme, diventano un unico strumento, molto particolare. Ho cercato l'alchimia delle sonorità. Questo album ha avuto una gestazione lenta, lunga e con ritmi biologici. Ci veniva voglia di fare una canzone dopo averne ascoltata un'altra. Dopo "Crêuza de Mâ" è venuta "Salvace sta terra" e così via... Anche l'apporto di Vittorio come musicista è stato incredibile, lui è un eccellente musicista. Tutto questo universo sonoro è arrivato piano piano. Solo dopo ci è venuta voglia, anche per un'esigenza live, di rivisitare dei suoi cavalli di battaglia. Inizialmente ho dovuto faticare un po' per far accettare a Vittorio dei cambi di accordi perché il senso del maggiore che hanno le sue canzoni, l'ho forzato con il minore, cercando di togliere anche quel senso di festosità che ti da il maggiore. Sono andato sul significato delle parole, ho dovuto lavorare anche sulla tessitura armonica talvolta in canzoni anche “sacre” per il panorama Pop italiano. Certo non è facile mettere mani sull'armonia di questi brani».

Avete messo in risalto quella che è la storia contenuta nelle canzoni. Prima dicevi di De André. Lui è stato il primo in Italia a pubblicare un disco di musica world. Anche Franco Battiato in alcune sue canzoni ha usato sonorità world, lo stesso Mango...

«Mango è il mio maestro; una citazione di Mango c'è nel ritmo di "Una Miniera", il suo ritmo tipico. Questa è una citazione alla sua sonorità, a quello che mi ha trasmesso con la sua arte e con la sua vicinanza. La parte iniziale, dialettale, di "Una Miniera" è di Lino Vairetti, leader degli Osanna, un eclettico per eccellenza. È stata veramente una sorpresa che abbiamo fatto a Vittorio. Noi abbiamo contattato Lino e gli abbiamo chiesto un suo cameo in "Una Miniera" e lui ha fatto questo, sorprendendoci con la sua teatralità. Ha inserito tutta l'indole del sud in questa recitazione del testo in dialetto. Lui è un artista, un pittore, un fotografo, ha fotografato persino Pino Daniele nelle copertine degli album e questo è uno dei più grandi regali artistici che abbiamo ricevuto nella nostra carriera, e di questo sono molto grato a Lino».

I Renanera hanno sonorità etniche ma con riferimento anche all'elettronica...

«Assolutamente, ho imparato da solo a fare gli arrangiamenti. Ho acquistato il mio primo computer, un Atari, nel 1989. Iniziai a maneggiare l'elettronica, non sono nato sulle partiture, ma direttamente sul computer. Da lì ho visto tutta l'evoluzione tecnologica. Questo mondo mi ha stimolato da subito. Le mie produzioni discografiche negli anni 2000/2001 furono nella trance. Fui uno dei primi a mischiare le sonorità orientali con la trance e un'etichetta pubblicò questo singolo in tutto il mondo, pensa che ha avuto più di 80.000 copie di distribuzione. Quella fu la scintilla per mischiare l'etnico con l'elettronico. Lo studio è continuato, imparando molto dalla musica di Mango, come tu hai ben intuito, però poi c'è anche Sting, Peter Gabriel e Brian Eno che insegnano moltissimo verso questa strada. Diciamo però che lo faccio con parsimonia perché è facile cadere nel banale o nel ridondante, nel senso che il melting pot va bene però va meditato e calibrato. Ci vuole molta riflessività e scelta e quando vai a mischiare delle cose così lontane io cerco molto l'equilibrio».

L'etnico con l'elettronico lo simboleggia anche il vostro logo?

«Sì, un logo che ho concepito proprio io per raffigurare questa commistione di cose che possono convivere e possono stare bene insieme. Nel prossimo album questa commistione è molto più pesante, sono intervenuto anche sulle voci, al contrario di questo album, dove le voci sono molto naturali e rispettose del mondo di Vittorio. Ora Vittorio ci vede come la sua culla etnica e se deve fare qualcosa in dialetto ci chiama. Ormai Vittorio lo sento come uno di famiglia, come uno zio che si fa sentire in maniera costante. Stiamo bene insieme sia sul palco sia fuori. Paolo Dossena, un discografico di lunga carriera nella World, ha insistito moltissimo nel pubblicare l'album perché sentiva una perizia nel suono, ha fatto i complimenti che non mi sarei mai aspettato sul suono e sull'album in se».