Antonio Guerra ospite al SWFF 2025: «La recitazione è il mio gioco preferito». Intervista 

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Antonio Guerra ospite al SWFF 2025: «La recitazione è il mio gioco preferito». Intervista 

Foto di Nicola Garofano

Al Social World Film Festival di Vico Equense, ospite anche il giovanissimo attore Antonio Guerra, protagonista del film Napoli-New York di Gabriele Salvatores, accanto a Pierfrancesco Favino. Sedici anni, una passione viscerale per il cinema e già con le idee chiare: recitare per passione, studiare per restare con i piedi per terra, sognare come solo chi ha ancora tutta la vita davanti può permettersi. E farlo, sempre, con il sorriso di chi gioca. Abbiamo scambiato due chiacchiere con lui tra emozioni, sacrifici, scuola e… un amore inconsolabile per il Napoli Calcio.
Dalla tua biografia si legge che hai già lavorato tanto, in cinema, fiction. Qual è stata per te l’esperienza più bella finora?
«Le più divertenti sono state sicuramente Criature e Napoli/New York. In particolare Criature, perché sul set eravamo tutti ragazzi, ci siamo proprio spassati. Però Napoli/New York è quella che mi ha lasciato di più dentro, perché lì ho capito davvero cosa significa il sacrificio».
Hai detto che vuoi continuare a studiare. Come pensi di conciliare scuola e recitazione?
«Sì, sono stato promosso e ora andrò in terzo superiore. Studio odontotecnica, ma il mio sogno è fare l’attore. Intanto voglio prendermi il diploma, perché per me la scuola è il mio “paracadute”, nel caso le cose vadano diversamente».
C’è un attore o attrice con cui sogni di lavorare?
«Ce ne sono tanti, però tra gli stranieri direi Brad Pitt, DiCaprio… e pure Sylvester Stallone! Però uno con cui mi piacerebbe lavorare per divertirmi è Alessandro Siani. E sì, ci ho già lavorato una volta!».


Qual è il consiglio più importante che ti è stato dato da un attore o un regista? E a cui pensi sempre…
«“Credici sempre”. Perché se ci credi davvero e ti impegni, puoi fare qualsiasi cosa. Io penso che chi ha una passione vera può arrivare ovunque. Niente è impossibile, basta crederci e impegnarsi. I sacrifici ripagano».
Fuori dal set, che fai? Che cosa ti piace?
«Ascolto musica, guardo un sacco di film, gioco a calcio, e vado in moto. Prima giocavo anche in una squadra, ma ora con scuola e set è dura incastrare tutto. Però ogni tanto una partitella con gli amici me la concedo!».
C’è un ruolo che sogni di interpretare, magari qualcosa che parli della tua generazione?
«Ce ne sono tanti… ma mi piacerebbe interpretare personaggi che raccontano quello che viviamo noi ragazzi, le difficoltà, i sogni, le cose vere».
Com’è stato lavorare con due giganti come Salvatores e Favino?
«Bellissimo! Ma soprattutto, non ci hanno mai fatto sentire il peso dei loro nomi. Ci facevano solo divertire e, infatti, se questo mestiere non lo prendi come un gioco, diventa tutto difficile. Gabriele ci faceva sentire a nostro agio, ci lasciava libertà anche nella sceneggiatura: «Falla come vuoi tu, poi vediamo se mi piace», ci diceva. Pierfrancesco invece ci ha insegnato tantissimo, è stato proprio una scuola vivente. Grazie a questo set, io sono cresciuto tanto».
Qual è la scena che ti ha toccato di più?
«Quella con Celestina, quando le dico: «Celestì, simme partute… simme partute ‘o veramente». Mi ha emozionato davvero tanto».

Un aneddoto sul set che non dimenticherai mai?
«La prima scena girata a Trieste. Ero pieno d’ansia. Ma Gabriele ci disse: «Ragazzi, fate quello che volete». Quelle parole mi hanno sbloccato. Sono tornato a essere me stesso, e secondo me è anche grazie a quella tranquillità che il film è venuto così bene».

Un altro aneddoto al di fuori del set?
«Eh, mannaggia… quando il Napoli ha vinto lo scudetto dopo 33 anni io stavo a Trieste da solo. . Il Napoli stava vincendo lo scudetto, al triplice fischio A un certo punto mi chiamò mio padre per farmi vedere i festeggiamenti: “Antò, guarda qui dove sto?”, e io gli staccai il telefono in faccia… perché stavo piangendo! Non potevo godermi quella gioia insieme a tutti. Mi è rimasta sul cuore».


Il film parla anche di migrazioni, un tema ancora attuale. Guardandolo, hai sentito questo parallelismo col presente?
«Sì. Dopo averlo visto, ho capito quanto fosse reale. Non si parla solo del passato, ma anche di adesso. Ci sono ancora bambini come noi che vivono certe situazioni, e pensarlo mi dà i brividi».

Hai girato Napoli/New York d’estate, rinunciando a vacanze e uscite con gli amici. Come hai fatto a reggere tutto?
«Se fai qualcosa con passione vera e divertimento, non ti pesa. Trovi spazio per tutto e riesci a fare tutto. Io quell’estate avevo pure l’esame di terza media, e studiavo la tesina sull’aereo tra Trieste e Napoli. Certo, ho dovuto rinunciare alla vacanza, ma se tu ci metti impegno e fai tanti sacrifici, tutto viene ripagato, sempre».

Hai definito il set del film una grande famiglia. Com’è stato condividere quell’esperienza con nomi così grandi?
«Quando mia mamma mi disse che nel film c’era anche Favino, le risposi: “Wow, davvero?! Veramente dici?”. E all’inizio avevo una paura assurda. Ma poi, quando abbiamo iniziato, sia Gabriele sia Pierfrancesco ci hanno detto: “Ragazzi, per ora questa è la vostra famiglia. Divertitevi e fate quello che volete”. E da lì mi sono rilassato».
Studi recitazione all’Agenzia PM5 Talent di Peppe Mastrocinque e hai avuto anche come insegnante Giuseppe Alessio Nuzzo, direttore del Social World Film Festival. Com’è stato?
«Bellissimo. Giuseppe mi ha fatto fare un monologo da Io speriamo che me la cavo, io facevo Ciro, e mi disse: “Se fossi stato io il regista, avrei scelto te”. Le sue lezioni mi facevano divertire e imparare. Mi ha fatto capire molte cose. Il divertimento, per noi ragazzi, è la chiave: se ci sembra un lavoro, perdiamo la magia».

Cosa sogni per il tuo futuro?
«Girare tanti altri film, diventare un attore bravo… e divertirmi sempre. Perché per me la recitazione è un gioco, e spero resti così anche quando sarò grande».