Leo Gullotta al Napoli Teatro Festival Italia è Bartleby lo Scrivano. Recensione e Intervista

- di

Leo Gullotta al Napoli Teatro Festival Italia è Bartleby lo Scrivano. Recensione e Intervista

Foto di Luca Del Pia

Ed ecco un altro ghiotto appuntamento proposto dal Napoli Teatro Festival Italia sotto la direzione artistica di Ruggero Cappuccio: Leo Gullotta ha indossato i panni di Bartleby lo scrivano per la regia di Emanuele Gamba al Teatro Sannazaro nei giorni 9 e 10 luglio scorsi, prima assoluta.

Il testo teatrale di Francesco Niccolini è liberamente tratto dal romanzo di Herman Melville, (sì proprio lui, l’autore di Moby Dick!), che fu pubblicato nel 1853, ma che sorprende ancora oggi per la sua modernità. Racconta, infatti, la silenziosa ribellione di un uomo verso un mondo sempre più frenetico e alienante, un uomo che si schiera contro l’utilitarismo, l’ossessione della produttività, la scalata sociale facendo affiorare il tema dell’incomunicabilità che attraverserà tutto il ‘900.

Bartleby si pone al centro di una passività totale attraverso una resistenza non violenta che diventa filosofia di vita. La sua continua, persistente e ostinata non-scelta è pur sempre una scelta e originerà una storia assurda, grottesca, kafkiana.

La vicenda si snoda in uno studio di un avvocato abitato da una curiosa umanità: due impiegati che si odiano, una segretaria maliziosa, una donna delle pulizie impicciona. Un giorno, per la troppa mole di lavoro, attraverso un annuncio, viene assunto un nuovo impiegato, un copista di nome Bartleby.

É un uomo di poche parole, riservato, con una fisicità minuta, sbiadita e scialba. Siede alla sua scrivania anche durante la pausa pranzo consumando soltanto biscottini allo zenzero. Copia diligentemente le carte che il suo datore di lavoro gli passa. Ma un giorno, l’instancabile scrivano pronuncia una frase che paralizza il lavoro nello studio e sovverte la vita stessa dell’avvocato: “I would prefer not to” ovvero “Preferirei di no”. Qualsiasi richiesta, eccetto la consueta copiatura dei documenti, viene liquidata con questa frase. Ed ecco l’alternarsi dei sentimenti dell’avvocato che è l’io narrante dell’intera vicenda: stupore, sconcerto, rabbia, indignazione, disprezzo, ma altresì compassione per quell’uomo che pronuncia, come una preghiera laica, quelle semplici quattro parole capaci però di sovvertire i già precari equilibri del personale dello studio e la vita stessa del suo datore di lavoro.

Beltleby si nega a tutti e forse anche a se stesso. Caparbiamente ripete quasi come un disco rotto, la stessa frase fino alla morte.

É quasi superfluo dire che Leo Gullotta per fisicità ed esperienza scenica incarna Bartleby in modo magistrale. Il grande attore catanese riesce con rara maestria a pronunciare la fatidica frase con diverse sfumature di tono e di accenti. Attraverso una mimica del corpo efficace e a tratti clownesca suscita da subito una forte empatia con il pubblico presente in sala. Gli attori che lo affiancano sono bravi e talentuosi, consapevoli di recitare con un interprete di grande spessore e molto amato dagli spettatori. Ricordiamo: Giuliana Colzi, Andrea Costagli, Dimitri Frosali, Massimo Salvianti, Lucia Socci sapientemente diretti da Emanuele Gamba.

                                              

Al termine dello spettacolo abbiamo incontrato Leo Gullotta e gli abbiamo rivolto qualche domanda.

Il romanzo di Melville è datato 1853. Quale lettura possiamo darne oggi, a parte le scelte del regista che ha posticipato le azioni dei personaggi in una Wall Street di più di un secolo fa?

«Per me questo lavoro è esattamente il ripercorso di quello fatto da Melville in Moby Dick con diversa strutturazione: l’ufficio è l’equipaggio della nave, il capitano Achab è l’avvocato e la Balena Bianca è Bartleby».

Cosa l’affascina, in particolare, di questo personaggio?

«Innanzitutto, questo tipo di personaggio che riesce a smontare, a distruggere un ufficio, manda a casa tutti, una società. É un personaggio emblematico ovviamente. Bisogna saper scegliere nella vita come fa Bartleby, bisogna metterci la faccia e lui ce la mette con dignità, con gusto e c’è nello spettacolo questo legame con la platea».

                                                 

Come ha trovato il pubblico napoletano?

«É una vita che vengo a Napoli per presentare spettacoli, film. La validità dello spettacolo sa come l’ho calcolata al debutto, in prima nazionale? Nonostante una sala storicamente accaldata, c’è un caldo storico depositato, il pubblico ha applaudito tanto e non si è alzato dalle poltrone, vuol dire che qualche “fantasmino” lo smuove e pensa e ciò è una cosa positiva».

Quali i suoi prossimi impegni?

«Concludo per il secondo anno Pensaci Giacomino di Pirandello che ho già portato in giro lo scorso anno riprendendolo alla fine di ottobre. Poi da febbraio porteremo in tournèe Bartleby lo scrivano».

Per coloro che volessero conoscere meglio Leo Gullotta consigliamo la lettura della sua autobiografia dal titolo Mille fili d’erba. Ovvero: come vivere felici su questa terra 1998 Di Renzo Editore