Una chiacchierata con la splendida icona Stefania Sandrelli al Social World Film Festival 2018

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Una chiacchierata con la splendida icona Stefania Sandrelli al Social World Film Festival 2018

Premio alla carriera al Social World Film Festival per Stefania Sandrelli, l'ultima icona internazionale del cinema italiano. La sublime e mitica attrice Stefania Sandrelli ha iniziato la carriera senza formazione e il suo primo vero successo è stato Divorzio all’italiana (1961) regia di Pietro Germi, anche se prima, nello stesso anno aveva avuto piccoli ruoli in Gioventù di notte, regia di Mario Sequi e Il federale per la regia di Luciano Salce
Una star fin dagli esordi ha lavorato con i più grandi attori Marcello Mastroianni Vittorio Gassman, Burt Lancaster, Jean-Louis Trintignant, Gérard Depardieu, Yves Montand, Philippe Noiret, Dustin Hoffman, e tanti altri, per non citare tutti i più grandi registi, come Pietro Germi, Ettore Scola, Bernardo Bertolucci, Luigi Comencini, Mario Monicelli. È entrata anche nella casa degli italiani attraverso fiction di grande successo ed ha avuto un’esperienza come regista con il suo film Christine Cristina, uscito nel maggio 2010.
Al Social World Film Festival ha incontrato i giovani ragazzi delle giurie. Com’è stato questo momento e cosa vi siete detti? 
«È sempre un privilegio essere intervistata dai giovani, perché non sono nostalgici, sono molto curiosi, non sono prevenuti, sono puri, istintivi e forti e poi sono semplicemente il nostro domani. Ho parlato della mia carriera e di come ho cominciato e se qualcuno vuol fare l'attore in particolare, non deve spaventarsi, perché nel cinema si ha la possibilità di una collaborazione completa e, chiunque vale tanto, non c'è qualcuno che valga di meno, compreso gli attori. Non ci sono mai piccoli ruoli, questo è molto importante. Io ho avuto una carriera privilegiata, molto particolare, quasi unica, ma non lo dico per vanto, ho avuto una scuola di set e non capita sempre, magari lavori con tre registi in 150 film, ma non hai la stessa possibilità di apprendere tanto, come ho avuto io, che ho lavorato con tantissimi registi.
Se dovessi rifare l'attrice oggi, partirei dal teatro. Ho fatto quattro volte teatro e tre tournée, ma molto faticose, però il teatro è un nutrimento per un attore, il cinema distrae un po' da questo nutrimento, anche se mi sono nutrita molto e mi sono anche abbeverata a fonti eccellenti. Mentre giri c'è sempre lo stop, rivediamo, rifacciamo la scena e ti distrai molto, ma il teatro è puro nutrimento, come un bambino con il biberon, un attore si nutre e diventa grande ed io dovrei rinascere per consegnarmi al teatro.
Anche se in Italia è molto faticoso, a Londra o a Parigi, io sono andata adesso alla Cinemateque a Parigi, dove hanno fatto una retrospettiva su di me, un omaggio bellissimo e ho incontrato un mio vecchio compagno di lavoro, Gérard Depardieu che stava lì stabile e lavorava da cinque mesi, noi in cinque mesi facciamo una tournée, dove ogni sera facciamo un debutto ed è estremamente faticoso.»


Ha interpretato tantissimi ruoli, ma c’è stato qualche personaggio che l’ha scossa e che ha avuto difficoltà a interpretarlo?
«Ho avuto un solo un‘impasse terrificante. Io ho fatto anche televisione, ho avuto la fortuna di fare delle belle fiction e la televisione ti dà più responsabilità, non puoi prescindere dall’istinto, perché entra nelle case della gente e, quindi, non hai molta libertà. L'unico momento è stato in una fiction, un giallo, dove io mi sono trovata una pistola in mano, che il regista ha detto, proviamo a farla un pochino più drammatica e mi sono trovata questa pistola e alla fine questo carrello finiva su di me ed io dovevo sparare, a nessuno ovviamente, dovevo sparare nel vuoto e non ci sono riuscita. Mi sono quasi messa a piangere, sono andata in panico e ho gridato io stessa: Stop! 
Questo è stato l'unico impasse che ho avuto, perché poi valuto in lettura, un attore parte dalla lettura di una sceneggiatura che deve essere bella e il film deve esserlo ancora di più, insomma, quando vado sul set, già so tutto.»
Come donna quali sono stati i pro e i contro nella sua carriera?
«Sono stati tutti pro, anche perché io adoro gli attori. Non faccio il nome, ma una volta in occasione di una festa, c'è una mia amica attrice ed io avevo capito che non amava molto gli attori, aveva un problema con gli attori,  l'ho chiamata per nome e gli ho detto “Ma tu con gli attori che rapporto hai?” e lei mi risposto semplicemente “Li odio, li trovo dei vanesi, stupidi.” Terribile, io mi sono sentita mancare, perché ho avuto veramente un dolore per lei e ho paragonato il mio grande amore per tutti gli attori, non solo i belli, anche se ogni tanto l'occhio vuole la sua parte, se tu lavori con Depardieu o De Niro, insomma, cosa vuoi di più? Con tutti gli attori ho questo rapporto intenso, di passione, li amo gli attori, me li porto a casa nel mio pensiero e me li coccolo, me li accarezzo e, quindi, sono fortunata.»


Anche perché lei è buona d'animo, traspare anche da questa chiacchierata e da come recita…
«Io sono come tutti. Ogni tanto sono anche piuttosto “violentina”, ho anch'io le mie piccole violenze. Per me il lavoro è la mia passione, la mia libertà. È stato tutto per me ed è stato tantissimo per me e non mi ha tolto niente. L'unica cosa è che non ho mai preso la patente.»
Qual è il regista con il quale lei si è trovata meglio? 
«Non è per sfuggire alla domanda, ma il mio primo regista è stato l'imprinting, Pietro Germi ed era un grandissimo regista. Noti che per un grande regista essere anche un grande attore è un enorme vantaggio e lui era un grande attore. Lui mi ha insegnato tutto, io mi ricordo che lo guardavo, anche perché io sono molto curiosa e lo sono tuttora per fortuna, lo guardavo girare e m’incantavo perché lui dietro quella grande macchina da presa, spesso girava lui a mano e dietro quella macchina da presa rideva, piangeva, cantava perfino e Germi mi ha trasmesso l'amore per il cinema per sempre. Ho cominciato con un grandissimo, però la bellezza del mio lavoro è che ogni grande regista con cui ho avuto il privilegio di lavorare non mi ha fatto per qualche verso rimpiangere l'altro e questo mi ha nutrito e dato sostegno. Io spero che lo sia per tutti gli attori, sicuramente, mi ha formato e mi ha dato tantissimo.»


Anche sua figlia Amanda ha intrapreso questo mestiere. L’ha spronata lei?
«Io credo sia inevitabile, io non ho mai detto ad Amanda fai l’attrice o mia figlia mi abbia mai detto voglio fare l'attrice, però se vivi, respiri e conosci l’ambiente… Lei è stata chiamata per un film, ha avuto un inizio un po' come me, per un film particolare molto bello che si chiamava “Non ci resta che piangere” con Benigni e Troisi che bazzicavano casa mia, quindi lì l'hanno conosciuta e le hanno fatto questa proposta. E mia figlia mi ha chiesto: “Che dici mamma?” “Beh, decidi tu, ma è difficile da rifiutare con due grandi attori.” Poi lei ha letto la sceneggiatura ed è impazzita. Credo che anche lei abbia avuto un imprinting notevole da cui non è facile uscire, però lei ha preferito il teatro.»
Lei sta raccontando tante gioie di questo lavoro, ma c'è anche qualche dolore?
«Il dolore sì, lasciare mia figlia quando era piccola con una persona che, ovviamente, mi faceva dormire su dieci guanciali, però rinunciare a una bambina e sapere che lei avrebbe rinunciato a me. Io poi non ero né una madre né un’attrice che desiderasse troppo portare i figli sul set per tanti motivi perché possono fraintendere o perché era pericoloso.
E per mia figlia rinunciare a me è stata la rinuncia più grande, ma anche per me, infatti, ce lo siamo ridetto, ne abbiamo parlato e quello che abbiamo potuto soffrire prima ce lo siamo ripreso poi.»


L'artista Sergio Buonocore omaggia l'attrice con un ritratto ad acquerello e matita.

Il cinema italiano è veramente in crisi per lei?
«Da sempre sento dire la crisi del cinema, è vero, però a che cosa si adduce? Se ancora ci sono dei grandi attori o dei grandi registi e tanti ne stanno nascendo, però una colpa, se c'è una crisi, possa essere quella del produttore, perché prima non c’era questo "business per il business". Prima il produttore era un signore che, come un buon padre di famiglia, faceva il suo figlio, prima lo concepiva, poi lo metteva in lavorazione, poi nasceva e poi lo seguiva. Io l'ho visto adesso con il mio piccolo film che ho fatto da regista “Christine Cristina”, dovevo occuparmi di tutto, anche della distribuzione, ma non si può pretendere, ognuno deve avere il suo ruolo e la responsabilità che gli attiene e deve darti un sostegno, non si può fare tutto da soli. Quel tipo di produttore non c'è più, ci sono i business, addirittura, in alcune reti, senza fare nome, le fiction sono chiamate “pezzi”, si vendono a pezzi, perché comanda la pubblicità. Questi pezzi poi sono trattati male. Io credo che stia lì la crisi del cinema, la mancanza di attenzione e di pensare a non fare business. Io per fortuna non ho mai pensato di arricchirmi con il cinema, con il mio lavoro e bene ho fatto, perché non è con il cinema che ci si arricchisce, non l’ho mai fatto per avere un divano più bello di un altro, anzi, all'inizio ci ho pure rimesso. Mi ricordo la mia mamma che mi diceva: “Oh Stefanina, ma tu sei proprio sicura che vuoi fare l'attrice?” Ritornavo a casa mezza morta, stanchissima, distrutta, facevamo degli orari pazzeschi all'inizio, sto parlando del ’61, poi c’era sempre quello che scremava tra le diarie e alla fine ci rimettevo.
Il cinema non si deve prendere come business, è una cosa a parte, ci vuole un occhio di riguardo e va maneggiato con cura.»