“Strappo la mia foto in bianco e nero e ringrazio la vita”. Tozzi chiude a Verona il Final tour

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“Strappo la mia foto in bianco e nero e ringrazio la vita”. Tozzi chiude a Verona il Final tour

C'è qualcosa di profondamente poetico nel vedere un artista salutare il suo pubblico nel luogo dove tutto è cominciato. Umberto Tozzi , icona della musica italiana, dopo cinquant'anni di carriera e oltre ottanta milioni di dischi venduti, ha chiuso ieri sera, 5 ottibre, all'Arena di Verona L'ultima Notte Rosa – The Final Tour , un concerto-sogno sold out che ha segnato la fine di un'epoca e l'inizio di un congedo dolce, luminoso, pieno d'amore. Lo spettacolo andrà in onda prossimamente su Canale 5.
Sul palco con lui, amici e compagni di viaggio come Laura Pausini, Raf, Masini, Hauser ei The Kolors , per una serata che è stata insieme festa, memoria e abbraccio collettivo.
Ma non è un addio che sa di fine. Con la pubblicazione del doppio album L'ultima notte rosa LIVE (in uscita il 28 novembre per Momy Records ) con cinque inediti e l'annuncio a sorpresa di nuove date del Final Show , Tozzi chiude il cerchio tornando alla sua essenza: la musica come dono, come grano baciato dal sole, immagine che torna nella sua nuova canzone Vento d'Aprile, dedicata alla piccola Elisa e ai bambini malati di leucemia.
Nel suo sguardo sereno, c'è la gratitudine di chi ha vissuto tanto e bene. Nel suo tono, la lucidità di chi sa che « il palco è il posto più divertente di tutto il viaggio » e che, anche dopo l'ultima notte rosa, la musica continuerà a brillare, come una promessa.


Ieri sera hai chiuso a Verona una parte importantissima del tuo tour con “L'Ultima Notte Rosa The Final Tour”. Com'è stata questa esperienza per te e quali emozioni hai provato sul palco?
«Ieri sera, è stato per me veramente un sogno essere a Verona e chiudere questa parte del tour, perché non avrei mai pensato di riuscire a chiudere all'Arena, una location che mi ha sempre emozionato fin dall'inizio della mia carriera, da Ti amo in poi, ho sempre vissuto cose bellissime. L'entusiasmo che abbiamo trovato ieri sera è stato meraviglioso».
Ci sono stati anche degli ospiti…
«Sì, eravamo in tanti, Raf, Masini, Hauser, The Kolors e vorrei ringraziare tutti gli artisti che sono venuti a trovarmi, sono stati splendidi. Ci sono state alcune cose che, io da professionista, avevo previsto, nel senso che nessuno se n'è accorto, però ci sono stati piccoli problemi tecnici».
Tra gli ospiti anche Laura Pausini…
«Laura è stata veramente disarmante, lei è una ragazza semplice. Conobbi Laura a Parigi, quando fece il suo primo grandissimo singolo, aveva 18 anni. È stata sorprendente perché è arrivata proprio da Parigi ieri con un aereo. Da quando io, mia moglie Monica e Gianluca le chiesero se avesse voluto partecipare a questo concerto all'Arena, la sua disponibilità è stata immediata. Non ci ha riflettuto neanche un attimo, addirittura abbiamo dovuto frenarla: voleva fare la corista e stare sul palco tutto il tempo. Essendo una mia fan, ha espresso una gioia veramente naturale, e l'ho apprezzato moltissimo».
Hai collaborato con Hauser durante il concerto. Che contributo ha dato alla serata e alla tua musica?»
«Hauser è stato sorprendente, perché è un musicista che conosceva professionalmente, ma non personalmente. Mi ha entusiasmato tanto e devo dire che ha dato un tocco musicale strumentale importante con il suo violoncello a una canzone che poi è stata il primo singolo della mia carriera, Donna amante mia, in una versione che ho riarrangiato per questo Final tour meraviglioso. È stato qualcosa che ci ha emozionati già dalle prove: ci siamo emozionati veramente per il suo apporto artistico che è riuscito a dare a questa canzone».
Oltre agli ospiti principali, com'è stata la collaborazione con gli altri artisti e che atmosfera si è creata sul palco e tra il pubblico?
«Devo dire che si è visto qualcosa di diverso, anche se professionalmente era qualcosa di importante. Io l'ho vissuta così, e penso che anche il pubblico che ha visto questo concerto ha percepito il risultato di questo concetto: un incontro sì professionale, ma siamo riusciti a trasmettere noi come band questa forma di divertimento. Prendiamola seriamente, ma divertiamoci. E nel divertirci ci stanno tutti gli orrori che poi sono avvenuti durante il concerto, sui quali abbiamo poi comunque riso, dopo, quando ci siamo rivisti dietro. È stato fantastico».


Hai presentato anche un inedito, “Vento d'aprile”, che nasce da un'esperienza molto personale con Elisa, una bambina scomparsa nel 2020. Puoi raccontarci come l'hai conosciuta e qual è stata la tua esperienza insieme a lei?
«Vento d'Aprile nasce insieme alla produzione di altri brani nuovi e inediti che usciranno appunto il 28 novembre. Ieri sera l'abbiamo eseguita nel live, perché questo concerto è stato organizzato con la Fondazione AIRC, che poi era l'anniversario di questa fondazione, e quindi abbiamo colto la palla al balzo. Vento d'Aprile è una canzone che nasce da un'esperienza vissuta da me e mia moglie Monica con la piccola Elisa, una bambina che ora è in paradiso, aveva solo 5 anni. Abbiamo avuto il piacere di conoscerla e frequentarla, purtroppo in un ambiente non esattamente idoneo, ma l'abbiamo visitata diverse volte: era in cura in terapia intensiva al Bambino Gesù di Roma. Abbiamo vissuto la storia di questa bambina per quanto ci è stato possibile. Appena ne siamo venuti a conoscenza, ci siamo subito recati da lei per starle vicino. Abbiamo fatto un sacco di cose per sensibilizzare al massimo sulla malattia che aveva, malattia che, purtroppo, non riguardava solo lei, ma tanti, tantissimi bambini. Abbiamo cercato di incentivare il più possibile gli esami per il midollo osseo affinché fossero possibili trapianti utili per questi bambini».
In questo brano dice “siamo un campo di grano baciato dal sole”. Puoi spiegare meglio il significato di quest'immagine?
«La visione è un po' poetica, però vuol dire anche che Dio ci ha dato questa grande fortuna. Il grano rappresenta ovviamente la vita e il sole quello che illumina la vita. Dietro questo ci sono tutte le problematiche dell'umanità che, invece di rendersi utile e amare il prossimo e amare tutto, dall'animale al fiore che nasce, finisce per non apprezzare il campo di grano baciato dal sole. Non voglio parlare delle guerre, voglio parlare dell'amore, di quell'amore che non c'è tra di noi, nell'umanità. Non si ciò apprezza che è bello e vitale, ma si fa di tutto per inseguire una vittoria che, poi, vittoria non è, come dice il testo. Perché? Perché comunque non riusciamo a guarire quello che è il maschio più importante, cioè guarire il più presto possibile tutti, non solo i bambini, anche i grandi. Però partiamo dai bambini, perché la storia di Vento d'Aprile è della piccola Elisa».
Ieri sera durante il concerto in platea c'era un fan con un cartello rosso su cui era scritto “Ripensaci”. Quando vedi gesti del genere, cosa pensi e cosa ti passa per la mente?
«Ci ​​penso, molto. Nasco musicista e il palco per me è sempre stato il posto più divertente di tutto il viaggio che facciamo nelle nostre carriere. Noi artisti, quando saliamo sul palco, viviamo il momento più importante, perché è lì che riusciamo ad avere un'energia che cancella tutta la fatica dei viaggi e quant'altro e questo fatto emozionale ovviamente mi fa pensare. Però, onestamente, sono fortunato perché ho, peraltro, dei progetti dei quali non posso parlare, ma molto belli che mi interessano e per cui credo di riuscire anche a riempire quel vuoto del non andare più in tour. Questo è qualcosa di molto positivo che mi è successo e che poi ne parlerò quando sarà il momento».
Per questo tour ci sarà qualche documentario o altri progetti video?
«Ci ​​sarà sicuramente. Siamo partiti tanto tempo fa e abbiamo avuto un ragazzo Emiliano che ci ha seguito, dall'Australia fino a Dubai, è venuto ovunque, ha cercato di prendere tutti gli scorci interessanti di video e di incontri che abbiamo avuto in questo bellissimo e lunghissimo tour. La mia ambizione è quella di farlo diventare un documentario su quello che è stato l'ultimo tour, ma dobbiamo ancora registrare tante immagini che avverranno anche nel 2026 e poi, piano piano, metteremo insieme il tutto».
Tanti anni fa, circa venti, hai realizzato un disco strumentale che è rimasto isolato nella tua carriera. È stato un episodio oppure potresti aprire un altro binario nella tua produzione musicale?
«No, è stato un episodio perché ho conosciuto un musicista che mi aveva coinvolto in questa dimensione di musica lounge e mi sono più che altro divertito a farlo insieme a lui, ma l'abbiamo realizzato senza sapere entrambi che non avrebbe avuto nessun futuro. Era più che altro un gesto di divertimento musicale, diverso da quello che possono essere le canzoni classiche di tre minuti e mezzoۚ».


Tu sei da sempre un riferimento nella musica italiana. Cosa pensi della nostra attuale situazione musicale italiana?
«Io sarei per la canzone, e spero tanto che le nuove generazioni comincino a scrivere delle belle canzoni, ma con il vecchio mestiere che adoperavamo noi: strofa, inciso, bridge e grandi strumenti musicali suonati. Questo è l'augurio che faccio alle nuove generazioni, perché c'è bisogno di ricreare assolutamente un panorama musicale che abbia, mi auguro, anche tante nuove personalità vocali. Questo è qualcosa che, da spettatore, a me manca moltissimo. È da tanti anni, ad esempio, che non c'è più una voce originale. Ricordo che ai miei tempi, ogni settimana, usciva un artista con una timbrica vocale diversa, con un suono di registrazione e strumenti diversi: una qualità totalmente diversa. Oggi è tutto molto forte per loro, perché è il loro mondo, ed è giusto che lo viva così, ma per noi è qualcosa di piatto, non c'è niente che emerge. Quello che mi auguro è che tornino a emergere nuovi cantautori, con nuove voci e nuovi testi: tutto ciò che merita, giustamente, un futuro musicale per un Paese come l'Italia, che da Napoli in poi possiede repertori molto, molto importanti, e direi anche piuttosto invidiabili per altri Paesi europei».
Uscendo un attimo dal tour e dal disco, sei uno degli artisti italiani più presenti nelle colonne sonore nella storia. Hai in mente di realizzare una colonna sonora in futuro? E qualcuno ti ha mai chiesto di inserirvi una tua canzone?
«No, non è mai successo, non me l'ha mai chiesto nessuno. Ho sempre espresso io, tra l'altro, questo desiderio che ho da tempo: riuscire a staccarmi un attimo dalla classica canzone pop di tre minuti e allungare un po' di più il cervello affinché arrivino dei risultati musicali diversi, con sonorità diverse, con tutto un mondo diverso che io ho in testa. Mi piacerebbe molto trovare qualche produttore che avesse bisogno di questo tipo di testa che ho io in questo momento, e può darsi che questo avvenga. Mi auguro davvero che un giorno capiti che qualcuno mi chiami per realizzare una colonna sonora, perché sarebbe qualcosa di speciale, di nuovo per me. Indubbiamente, sarebbe un input molto bello, molto importante, che mi piacerebbe vivere».
Hai già dei brani composti che potrebbero essere adattati a future colonne sonore?
«No, ma nel poco tempo che ho avuto a disposizione nei miei ritorni a casa in questo anno e mezzo di tour, cioè circa una settimana, mi sedevo al pianoforte o prendevo una chitarra e ho buttato giù un sacco di roba che però non sono canzoni, è musica, non ci sono cantati. Ci sono delle tracce di melodie, delle cose che mi interessano poi sviluppare e quando avrò più tempo, sicuramente mi ci metterò su».
Quando è partito questo tour avevi detto che sentimenti più energia che eventualmente un'idea di commozione. Ma adesso, a meno di dodici date dal traguardo, com'è cambiata la tua percezione emotiva e come pensi che cambierà una volta sul palco per l'ultimo dato?
«Adesso abbiamo davvero tirato le fila del finale, quindi arriva il momento emozionale più forte per me. Inizio a sentirlo in qualche concerto: quello di ieri sera, ad esempio, è stato per me un momento molto bello, per carità, però mi rendo conto che sì, è stato bello, ma era anche l'ultimo all'Arena di Verona, e lì non ne farò mai più. È stato molto toccante, molto emozionante: ce l'ho messa tutta per fare il meglio possibile e credo che sia venuto fuori un bellissimo concerto. Però, a livello emozionale, l'intensità aumenterà sempre di più man mano che ci avvicineremo alla “I” di Tozzi, che è l'ultima data, a Londra».
A proposito della locandina in cui stracci la fotografia di un giovane Umberto e confronta l'Umberto di oggi, quale significato ha per te questo gesto? Preferiresti dire qualcosa al giovane Umberto o lasciare che ti segni ancora qualcosa?
«Preferivo la foto di quando avevo trent'anni o giù di lì: non ero male, mi sarei fermato volentieri a quel periodo. Anche perché, storicamente, è stato un momento bellissimo: ho incontrato mia moglie Monica e, da quel momento in poi, sono trentanove anni che ci amiamo e che viviamo insieme, litigando tutti i giorni come si fa solitamente in tutte le famiglie del mondo. Però preferisco sicuramente quella in bianco e nero che ho strappato».


Parlando dei rapporti umani, il tuo legame con Gianluca, da rapporto padre-figlio a rapporto manager-artista, sembra molto intenso. Cos'hai imparato da lui e cosa ha imparato lui da te?
«Il rapporto con Gianluca è stato, onestamente, molto difficile per quanto riguarda la professione che ha scelto di fare. Lui era un ragazzo che a scuola andava benissimo, davvero il numero uno in tutte le scuole: dalle prime elementari a Roma alla scuola internazionale di Monaco, che ha frequentato insieme a Natasha, sua sorella. Era un ragazzo fantastico. Poi ha terminato gli studi, ha lavorato in banca per due anni e anche lì era molto benvoluto dal direttore, avrebbe potuto fare una grande carriera. Poi, inaspettatamente, ha deciso di collaborare con me. Io e sua madre ci siamo chiesti se dovevamo chiamare un dottore: era vera quella scelta di professione che voleva fare? È un mestiere molto difficile e competitivo, frequentato, diciamolo, non da tante persone per bene. E di questo io e sua madre eravamo molto preoccupati. Però lui, con tenacia e talento, è riuscito a costruirsi la sua carriera, ed è oggi uno dei giovani più bravi e talentuosi della sua generazione di manager. Questo, per me e per sua madre, è motivo di grande orgoglio. Devo dire che ha avuto una grande maestra: la mamma, che fin dall'inizio gli ha detto, e io mi sono subito associato, che uno dei punti fondamentali di questo mestiere è la lealtà. La lealtà è qualcosa di molto difficile da trovare, non solo nella vita ma anche a livello professionale, e questo è un percorso che Gianluca ha portato avanti con grande serietà. È stato apprezzato anche dagli artisti che non fanno parte del suo roster di lavoro. Io sono uno degli ultimi; adesso, scherzando, dico sempre che ha i Beatles. Se lo merita tutto: è un ragazzo di talento, cocciuto, intelligente, molto leale. Questi sono valori davvero importanti, che lui è riuscito a portare avanti, e di questo io e sua madre siamo molto fieri».
Sei stato uno dei pochissimi artisti italiani ad esibirti alla Royal Albert Hall. Puoi raccontarci com'è successo e se, al giorno d'oggi, ti piacerebbe tornarci?
«È successo per caso. In quell'anno lavoravo con un manager, non faccio nomi. che mi chiese: “Ti andrebbe di andare a suonare a Londra, al Royal Albert Hall?”. Io gli risposi: "Ma sei impazzito? Non mi nessuno conosce lì!". E lui replicò: “No, è tutto esaurito”. Aveva già fatto tutto, e quindi ebbi questa sorpresa. Andammo, e per fortuna decidiamo di registrare il concerto, che poi, tra l'altro, da un mese è uscito in una nuova versione. Arrivando a oggi, devo essere sincero: mi è dispiaciuto molto non esserci più tornato. Ho chiesto a Gianluca di corrompere chiunque, ma non ce l'ha fatta, perché pare ci siano dai due ai tre anni di attesa. Poi ho incontrato Zucchero, poco tempo fa, e abbiamo parlato anche di questa cosa. Anche lui sta cercando, e Laura pure, ma non si riesce ad avere una data: è davvero impossibile. Peccato. Però ecco, se Gianluca riuscirà a trovare un buco tra un anno o due, tornerò volentieri a fare un concerto lì».
Guardando alla tua carriera, quale momento consideri il più significativo, quale quello più complicato, e come descriveresti in poche parole questo lungo viaggio iniziato nel 1976 fino a oggi?
«Il bilancio, ovviamente, è positivo, perché si parla di un artista che non avrebbe mai pensato che la sua musica potesse arrivare fino alla frontiera di Chiasso. Da Chiasso bisognava fermarla, perché noi italiani, almeno in quegli anni, non avevamo nessuna possibilità fuori dall'Italia. La sorpresa è stata che una mia canzone, Ti amo, varcasse le frontiere in maniera così prepotente: dalla Francia, che fu il primo Paese ad accorgersene, ai DJ della Costa Azzurra che la mettevano in tutte le versioni, comprese quelle in spagnolo per il Sudamerica e la Spagna. Il bilancio è chiaramente positivo perché, inaspettatamente, da chitarrista e musicista, mi sono ritrovato a fare il cantante, cosa che, per altro, non mi andava nemmeno di fare, perché la mia voce non mi piaceva. Sapevo di saper cantare, ma non era quello il mio obiettivo finale: avrei voluto fare un gruppo pop-rock e suonare, e basta. Invece la carriera si è mossa in un altro modo, da quando ho incontrato Giancarlo Bigazzi, Alfredo Cerruti e tutta la grande famiglia della CGD, che mi ha supportato in tutto e per tutto. Insieme abbiamo fatto ciò che tutti conosciamo. I momenti più belli sono stati indubbiamente quelli come il Golden Globe: andai a ritirarlo senza sapere neanche cosa fosse e, sinceramente, non volevo nemmeno andarci. Me lo diedero perché, dopo cinque anni di carriera, avevo venduto 29 milioni di dischi. Solo dopo ho capito quanto fosse importante, vedendo che a Hollywood si spingevano pur di prenderne uno. Allora ho detto: “Ah, quindi è un premio importante anche per me”. Non sono mai stato un grande ambizioso, non sono mai stato un collezionista dei miei premi: li ho sempre lasciati a casa di mia mamma. Poi, quando mia madre è mancata, Gianluca li ha presi e adesso ha una bella collezione».
Ieri sera all'Arena hai detto che “questa volta è davvero l'ultima”, ma allo stesso tempo hai lasciato uno spiraglio aperto per un concerto magari al Royal Albert Hall. Ti hanno fatto notare che, in realtà, sembri in una forma straordinaria: allora ti chiedo, questo è davvero un addio o potrebbe essere un nuovo inizio?
«A essere sincero, qualcuno che poi molto carinamente è venuto ai miei concerti mi ha anche detto, e non posso fare nomi, che non sembra veramente il finale di una carriera, perché non mi aveva mai sentito cantare così bene, né mai visto in una produzione così bella. Devo dire che tutto questo contorno, in questo finale, è stato veramente bello, e io ho apprezzato moltissimo. Sono contento di finire in questo modo, perché era quello che, tra l'altro, avrei desiderato avere anche anni fa: una grande orchestra con cui riarrangiare le mie canzoni».
Quindi nessun ripensamento dal vivo, almeno per ora?
«No, per il momento non ce ne sono. Ci sono, ripeto, dei progetti che mi piacciono molto, penso che ne parlerò presto, non musicali però, molto molto interessante per quello che mi riguarda. Sono molto fiero di riuscire a terminare la mia carriera in questo modo, con l'aiuto di Ferdinando Salzano e di mio figlio Gianluca. Ho ricevuto veramente di più di quello che potevo aspettarmi da tutto l'incontro che ho avuto nel mondo. In quest'ultimo tour ho trovato un pubblico fantastico, un'accoglienza meravigliosa: è stato qualcosa di davvero troppo bello. Ieri sera, poi, ho vissuto un momento storico. Sono felice».

 

I biglietti del tour “ L'ULTIMA NOTTE ROSA THE FINAL SHOWsono disponibili alle ore 14.00 di martedì 7 ottobre, su TicketOne.it e nelle prevendite abituali (per info www.friendsandpartners.it ).

Queste le date live , prodotte e organizzate da Friends & Partners , Momy Records e Concerto Music :

U – 5 marzo 2026 – Eboli (Salerno) – Palasele

M – 7 marzo 2026 – Bari – Palaflorio

B – 11 marzo 2026 – Roma – Palazzo dello Sport

E – 14 marzo 2026 – Firenze – Nelson Mandela Forum

R – 18 marzo 2026 – Milano – Forum Unipol

T – 19 marzo 2026 – Torino – Inalpi Arena

O – 21 marzo 2026 – Padova – Kioene Arena

 

T – 12 aprile 2026 – Zurigo – Kongresshaus

O – 26 aprile 2026 – Graz – Stadthalle

Z – 1° maggio 2026 – Bruxelles – Foresta Nazionale

Z – 6 maggio 2026 – Parigi – Le Grand Rex

Io – Londra