
Foto di Nicola Garofano
Due ore e mezza di musica ininterrotta. È questo il tempo sospeso che Riccardo Cocciante ha regalato a Napoli travolgendo Piazza del Plebiscito con lo spettacolo Io…Riccardo Cocciante, prodotto da Vivo Concerti. Un live che non è stato semplice concerto, ma un viaggio dentro una carriera irripetibile, di un repertorio che ha scolpito la memoria collettiva italiana ed europea.
Il palco è sontuoso ma essenziale, lasciando spazio all'unica vera protagonista: la musica. Una band d'altissimo livello: Daniele Liucci alle percussioni, Cristiano Micalizzi alla batteria, Roberto Gallinelli al basso, Ruggero Brunetti e Davide Gobello alle chitarre, Luciano Zanoni al pianoforte e tastiere, Lorenzo Nanni alle tastiere e programmazioni. Un quartetto d'archi raffinato: Davide Agamennone al primo violino, Andrea Ricciardi al secondo violino, Giulia Sandoli alla viola e Ilaria Calabrò al violoncello. A completare l'ensemble, cinque coristi di straordinaria potenza vocale, diretti da Marco Vito: Stefania Martin, Alexa Pillepich, Claudia D'Ulisse e Roberto Tiranti . Impeccabili, capaci di sostenere e amplificare la forza espressiva di Cocciante senza mai sovrastarla, un equilibrio perfetto tra voce, strumenti e cori con gli arrangiamenti, quasi fedeli agli originali, che confermano una scelta precisa: le canzoni di Cocciante non hanno bisogno di rivisitazioni, sono già perfette così.
L'apertura è affidata a Ora che io sono luce (1972) e Uomo (1972), estratti dall'album-concept Mu, racconto epico del continente sommerso. Brani visionari, tra il rock e la spiritualità, che rivelano quanto già agli esordi Cocciante fosse capace di intrecciare filosofia, religione e sentimento. «Questo è il primo disco registrato in Italia, era un concept album… raccontava di un continente perduto che evolve e poi si distrugge. E mi sono chiesto: noi, a che punto siamo della nostra evoluzione? Forse siamo in tanti, forse siamo troppo distanti» spiega l'artista, collegando quelle intuizioni giovanili alla condizione presente.
Segue Ammassati e distanti (1993), riflessione sempre attuale. Poi Il mio nome è Riccardo (1987), che dà anche il titolo al documentario in arrivo su Rai3 tra qualche mese.
Con Uniti no, divisi no (1982) e Un buco nel cuore (1982), il sodalizio con Mogol risplende. «Certe volte si sente la necessità di ricominciare da capo… rinascere in qualcosa di nuovo, di bello. Ricostruire vuol dire fare un'altra vita» racconta, e il pubblico trattiene il respiro e intona Cervo a primavera (1980) che esplode con leggerezza e intensità, sostenuta da un coro straordinario. Poi il pianoforte diventa compagno di viaggio: L'odore del pane (1974), Primavera e la struggente Era già tutto previsto (1975), riportato alla ribalta dal film Parthenope di Paolo Sorrentino.
Il racconto diventa personale: «A un certo punto sono andato a vivere a Miami, non per divertirmi ma per lavoro. Però mi mancava questo nostro mondo così intenso… ed è nata Ti amo ancora di più (1997)». Un brano che vibra di intimità e vastità, di assenza trasformata in linfa vitale.
Segue Il mare dei papaveri (1985), e poi A mano a mano, troppo spesso attribuita a Rino Gaetano ma che qui ritorna alla sua matrice. Un nuovo amico (1982) prepara il terreno a un omaggio speciale: «Da giovane ho amato la musica nera, quella libera, esagerata, che traduce emozioni intime. E amavo un personaggio libero in tutto: Jimi Hendrix. Per lui ho scritto Jimi suona (1991)».
Cocciante al pianoforte introduce un trittico dal musical Notre-Dame de Paris: Il tempo delle cattedrali (con Marco Vito), Bella e I clandestini. Un passaggio che fonde popolare e colto, rock e lirica.
Poi l'omaggio alla città: Napule è . «Ho scelto questa canzone per tre ragioni: perché parla di Napoli, per chi l'ha scritta, che considero un grandissimo autore, e perché il nostro batterista Alfredo Golino ci teneva a suonarla con noi». L'applauso della piazza diventa abbraccio.
La scaletta si fa vertiginosa: Celeste nostalgia (1982), La nostra lingua italiana (1993), Quando finisce un amore (1974), accolta da una standing ovation, Vivi la tua vita (1991) dedicata al figlio David, Due (1985), Sincerità (1983), Poesia (1973), Bella senz'anima (1974), Se stiamo insieme (1991).
E poi la canzone-simbolo: Margherita (1976). Cocciante invita il pubblico a cantarla a cappella, trasformando la piazza in un'unica voce. Momento catartico, commovente.
La chiusura è un crescendo: Io canto (1979), Questione di sentimento (1985) e In bicicletta (1982), che suggella ancora una volta il sodalizio con Mogol.
Cocciante non ha bisogno di effetti speciali: la sua voce, ancora oggi, è un'arma che graffia e accarezza, che vibra di pathos e verità. I musicisti ei coristi, impeccabili, hanno restituito gli arrangiamenti nella loro veste originaria, dimostrando rispetto per canzoni che non conoscono usura. Il pubblico ha assistito a molto più di un live: ha partecipato a un rito collettivo. Perché le canzoni di Cocciante, anche dopo decenni, non invecchiano: rimangono, resistono, e parlano ancora di noi e Napoli ko ha accolto in tutta la sua grandezza.