Il titolo di quest’articolo me l’ha suggerito Tony Renis, una vera leggenda italiana, l’Ambasciatore della canzone italiana nel mondo, che ha premiato all’Ischia Global Fest lo straordinario Quincy Jones, con il William Walton Music Legend Award.
Nel giardino dell’albergo Regina Isabella è stata allestita una mostra fotografica su Quincy Jones; qui è avvenuto anche l’incontro con l'artista pluripremiato: “ottantacinque anni, ma mi sento un diciannovenne” ha affermato, poi ha parlato un po’ della sua vita e di com’è arrivato a produrre grandi nomi della musica internazionale.
«Non ho mai fatto nulla costretto, - racconta Quincy Jones - non ho mai fatto musica per soldi, quando non avevo voglia, non ho fatto niente e mai lo farò. Se lo fai per soldi, non hai più il controllo di tutto quello che fai e c'è qualcun altro che entra lì e decide per te.»
Quincy Jones è nato nel duro ghetto nero a South Side di una delle città più grandi d'America, Chicago, il 14 marzo 1933 e i suoi primi anni non sono stati per nulla facili, addirittura voleva diventare un gangster e il suo primo dramma è stato quando è morta sua madre.
«Ho perso mia madre – racconta Quincy Jones - quando avevo sette anni perché aveva dei problemi psichiatrici e la mia unica grande paura era di non essere pronto quando sarebbe arrivata la mia grande opportunità e ho fatto di tutto per essere sempre pronto a cogliere le opportunità.»
«Quando ero bambino – continua Quincy Jones - mio padre era invischiato in quella che era la gang più pericolosa della storia d’America, la Jones Boys di Chicago e, quindi, il mio sogno di quando avevo undici anni era diventare un gangster, l'unica cosa che avrei potuto fare. Vivevo in quell’ambiente, vedevo cadaveri in giro per la strada, soldi contati sui tavolini; Chicago non era proprio una cittadina facile. Questa gang all'epoca ha fatto circa 140 milioni di dollari, l'equivalente di un miliardo di oggi, insomma era molto, molto potente altro che Al Capone! E questo era l'ambiente in cui sono cresciuto e a un certo punto ho pensato che quella sarebbe stata la mia strada, perché quello era l'unico esempio che avevo, che sarei diventato anch'io un gangster.»
Quincy continua con il racconto della sua vita turbolenta e che avrebbe potuto finir male da un momento all’altro:
«Avevo undici anni, ed io e mio fratello Jones quando abbiamo fatto irruzione di notte in un centro ricreativo chiamato “The Armory”, l’armeria, e siamo entrati in tutte le stanze dei supervisori e abbiamo trovato un congelatore con dentro una torta a limone e dei gelati, stavo mangiando la torta quando sono entrato in un’altra stanza e ho visto un pianoforte, ma ho chiuso la porta. Poi mi sono detto: “Idiota, torna in quella stanza!" E a quel punto l’ho toccato, ho suonato e ogni cellula del mio corpo ha detto 'Questo è ciò che farò per il resto della mia vita'. Il giorno dopo, sono ritornato e mi sono detto: questo è quello che voglio fare, quindi, sono andato a scuola e ho cominciato a studiare tutto, dai solfeggi a tutti gli strumenti possibili, trombone, tromba, batteria e tutto quello che si poteva fare. Ho fatto parte di una marching band e ho capito che quella era la mia vita e da allora non ho più cambiato idea.»
Quincy Jones con la sua famiglia si trasferì a Seattle quando era un adolescente e conobbe la persona che l’ha cambiato totalmente la vita, Ray Charles.
«L'incontro magico della vita è stato Ray Charles, io ero un ragazzino di quattordici anni vivevo con mio padre e con la mia matrigna e lui già viveva nel suo appartamento, aveva due fidanzate, aveva un bel completo, addirittura due paia di scarpe. Per me lui è stato veramente l'uomo che mi ha cambiato la vita.»
Quincy suonò in una piccola band guidata da Ray Charles ed è rimasto un amico intimo per tutta la sua vita ed è diventato il suo arrangiatore e produttore dopo che Jones si era fatto un nome nel mondo della musica.
Man mano che racconta la sua storia pensi a come sia stato forte e determinato nella sua carriera, poi ha iniziato ad accennare i suoi incontri, con Tony Renis, presente anche lui a questo incontro a Ischia, che Quincy chiama “Fico”:
«Fico mi ha insegnato tante belle parole e parolacce in italiano, quello che serve, insomma, era un ragazzaccio ed io appunto lo chiamo “fico”, ma lui mi ha insegnato tanto.»
Il suo incontro con Frank Sinatra segnò un'importante svolta per Sinatra, che affettuosamente dice: “È stato un meraviglioso amico”. Sinatra regalò a Quincy Jones un anello che indossa ancora, da quarant’anni.
«Con Frank Sinatra e Ray Charles abbiamo bevuto alcol per centinaia, anzi, forse migliaia di persone messe insieme. Non avete idea di com’era all'epoca l'atmosfera. Sinatra era capace di bere sette doppi Jack Daniel’s in un'ora, fumava tre o quattro o cinque pacchetti di sigarette al giorno, ed è arrivato fino a ottantadue anni, gli altri insieme con lui sono morti molto prima, ma io non so come abbia fatto lui, cosa avesse, però sappiamo di chi stiamo parlando.»
Tra il 1961 e il 1965 Jones ha realizzato dischi per Dizzy Gillespie, Dinah Washington, Brook Benton, Peggy Lee, Sarah Vaughan, Count Basie, Ella Fitzgerald, Frank Sinatra, Sammy Davis, Jr. e Billy Eckstine.
Poi si è affermato anche come compositore di musica per film, infatti, nel 1963 il regista Sidney Lumet, marito della figlia di Lena Horne, chiese a Jones di scrivere la musica per il suo film L'uomo del banco dei pegni (The Pawnbroker). Lumet voleva specificamente una colonna sonora cupa ma bruciante, e Jones soddisfaceva perfettamente i suoi bisogni.
«Io sono stato veramente fortunato – continua Jones - ad avere incontrato personaggi come Ennio Morricone, perché a un certo punto, ho cominciato anche a comporre musica per il cinema, ma all'epoca non c'era nessun compositore di colore al quale affidassero una composizione di colonne sonore per il cinema. Ho incontrato Trovajoli, Morricone, Piccioni: all’epoca erano molti i compositori italiani e mi hanno insegnato tanto; grazie a loro abbiamo cambiato le cose e ce l'abbiamo fatta. Io ho cominciato a comporre musica per il cinema e da allora non mi sono fermato.»
Il decennio decisivo è stato negli anni ’80 e Jones ha avuto un grande impatto sulla cultura popolare americana quando ha prodotto “Off The Wall” di Michael Jackson per l'Epic Records nel 1979, considerato uno dei migliori dischi dance e uno degli album pop più innovativi dell'epoca. La successiva collaborazione di Jackson con Jones, “Thriller” (1982), era più di un album, è stato un momento culturale importante. Thriller ha venduto circa 50 milioni di copie, più di ogni altro album nella storia della musica.
«Non si possono realizzare album come Thriller o Off the Wall se non c'è rispetto, amore e fiducia reciproca eppure noi ce l'abbiamo fatta, quindi, questo vuol dire qualcosa. Ripeto ci vuole amore, rispetto e fiducia quando lavori con musicisti come Ray Charles, Frank Sinatra, Michael Jackson e gli chiedi di fare un salto nel buio senza rete, loro si devono fidare e tu devi sapere quello che stai facendo. Un produttore musicale è un po' come un regista cinematografico, deve avere il controllo della situazione e deve guardare avanti e si affida, ad esempio, al direttore della fotografia affinché le immagini siano le migliori e il messaggio visivo arrivi all'occhio dello spettatore. Con la musica il messaggio arriva attraverso il suono, ed io avevo il miglior tecnico del suono che ci fosse sulla piazza.»
Quincy Jones, poi, ha parlato della musica di oggi e di quanto sia poco interessante:
«Oggi, con questi strumenti elettronici è tutta una questione di bit, di ritmo, è come se si facesse tanto rumore, non c'è più la composizione del passato, non è più la musica di una volta. Ciò che voglio dire è che ci vuole una bella musica, una bella canzone e, una bella canzone se è tale può essere anche cantata da uno non così bravo. Una bella canzone può fare di un cantante mediocre, una grande star, il contrario non esiste. Tu puoi essere il più grande cantante del mondo, ma se la canzone non è buona, sicuramente il successo non può essere raggiunto e, spesso è successo così, anche quando lavoravamo con Michael Jackson, per arrivare a comporre i pezzi dell'album ne abbiamo scritte tantissime, pur di arrivare a dei veri pezzi che compongono un album, ne abbiamo scritte centinaia per trovare quelle che erano giuste e che sarebbero arrivate al cuore del pubblico.»
E poi scatta la solita questione, cosa consiglia ai giovani d’oggi?
«Noi al momento abbiamo una quindicina di grandi talenti di cui ci stiamo occupando, per esempio Alfredo, un pianista cubano straordinario e lui si esercita e studia 14 ore al giorno. Quello che dico a tutti i giovani è: non pensate che se avete un disco che fa successo, a quel punto avete finito e smettete di studiare. Bisogna studiare, studiare, studiare, imparare proprio l’abc, la grammatica di quella che è la musica, che si tratti di composizione, di orchestrazione, di arrangiamenti, bisogna imparare le basi e, poi, a quel punto, chiaramente, è una questione di cuore, di talento, di creatività, ma tu devi conoscere le regole, non puoi infrangerle. Come puoi essere un musicista rivoluzionario se non hai studiato prima le regole, imparate a memoria e assorbite come hanno fatto i grandi Ray Charles, Herbie Hancock ecc. Questo è quello che dico a tutti i giovani studiate, studiate, studiate e poi, a quel punto, una volta che l’avrete fatto, arriva il vostro mestiere, chiaramente se c’è la passione, il cuore, la creatività.»
Infine, Quincy Jones parla del suo docu-film “American Film: Black Experience":
«Stiamo realizzando con Cheryl Boone Isaacs un documentario che si chiama American Film: Black Experience, lei è stata la presidentessa dell'Academy, quindi conosce sicuramente quest’ambiente e lei mi ha chiesto di fare il co-produttore. Ci sono state tante occasioni in cui sono stato il primo: come dicevo, sono stato il primo compositore di musica per il cinema di colore, sono stato il primo in tante cose, proprio per quanto riguarda la diversità e sono anche un po' stanco di ritornare sempre su queste cose e di raccontarle, ma sicuramente con questo docu-film potremmo raccontare quello che è successo.»
Dov’è seduto Quincy dietro c’è una foto a colori che ritrae un gruppo di ragazzi con Jones e Nelson Mandela:
«Guardando dietro le mie spalle, guardavo questa foto, dove c'è Nelson Mandela. Per me questo è il più grande essere umano che io abbia mai incontrato. Questa foto è fantastica c'è anche sua figlia e tutti questi ragazzi che avevano delle situazioni piuttosto difficili, non erano proprio dei bravi ragazzi, ma noi siamo riusciti a trasformarli in persone che hanno un mestiere nel campo artistico. Li abbiamo portati lì a incontrare Nelson Mandela e loro quando l’hanno incontrato, l’hanno abbracciato e baciato, erano tutti con le lacrime agli occhi. Ecco questo è un tipo di lavoro che abbiamo fatto, che si può fare e che bisogna continuare a fare.»
La leggenda italiana Tony Renis inaugurà la mostra su Quincy Jones.
Infine ringrazia Pascal Videdomini per l’invito all’Ischia Global Fest e per il premio che riceverà.
«Sicuramente il premio che riceverò qui a Ischia rimarrà nel mio cuore, perché veramente questo premio mi fa bene al cuore, mi fa bene all'anima essere premiato dall'Italia e da Ischia. Io sono molto legato all'Italia e ricordo quando abbiamo lavorato per preparare la consegna dell'Oscar a Ennio Morricone, lui aveva fatto all'epoca 480 film non aveva mai vinto un Oscar e questo era un qualcosa di straordinario in senso negativo, aveva fatto tutte quelle colonne sonore così meravigliose e non avesse mai vinto un Oscar. Quando gliel'ho dato sul palco, abbiamo entrambi pianto sono legatissimo a lui, quindi, ricevere un premio in Italia è veramente un onore grandissimo. Grazie a tutti.»