“Vorrei che fosse già domani” il primo libro di Miriam Candurro - Intervista

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“Vorrei che fosse già domani” il primo libro di Miriam Candurro - Intervista

Vorrei che fosse già domani, edizioni Garzanti, è il primo libro dell’attrice Miriam Candurro scritto a quattro mani con Massimo Cacciapuoti, che parla di una forte amicizia di due ragazzi adolescenti, Paolo e Cristina, ognuno con una particolarità che li rende diversi dagli altri.
Miriam, Serena in Un Posto al Sole, fino a fine a maggio sarà ancora impegnata sul set della seconda stagione della serie tv I Bastardi di Pizzofalcone, che andrà in onda in autunno prossimo.
Dopo aver preso parte a diversi film lo scorso anno, Miriam ha deciso per il 2018 di tirare il freno, facendo molta selezione ai progetti che le propongono e accettare solo quelli più interessanti. Nel frattempo sta scribacchiando un secondo romanzo.

È uscito da pochi giorni il tuo libro. Come ti senti? 
«Sono molto emozionata e felice. Scrivere un romanzo è un sogno che si avvera, scritto con Massimo Cacciapuoti, in realtà, è stata sua l'idea perché gli avevo detto che mi piaceva scrivere e mi propose di scrivere un libro insieme.»
Com’è lavorare a quattro mani alla stesura di un libro?
«Non sapevamo come farlo, perché a quattro mani è una cosa complicatissima e se devo dire come abbiamo fatto, non lo so. Ci siamo rimbalzati i capitoli, chi scriveva una cosa e la mandava all'altro e la correggeva e viceversa, alla fine, nel leggerlo adesso, ha un’unità di racconto e di scrittura che sembra veramente scritto da una sola persona.»
Di cosa parla? 
«I protagonisti sono Paolo e Cristina, due adolescenti diversi, per motivi fisici uno e, per motivi legati a un particolare carattere per una situazione che è successa quando era molto piccola l'altra. 
In un mondo, in cui dobbiamo essere tutti uguali, la diversità diventa un limite folle e quando si mettono insieme hanno la capacità di diventare una perfezione, quello che manca a uno ce l'ha l'altro in più, un incastro perfetto, però devono scoprirlo. Il romanzo, quindi, è la storia di queste due diversità che si devono scoprire perfette l'uno per l'altro e, quando lo scopriranno non potranno fare a meno più l'uno dall'altro, proprio quando uno dei due potrebbe andare via. È una storia di grande amicizia e di aiuto, è il passaggio dall'adolescenza all'età adulta, fatta da due ragazzi diversi che si aiutano a vicenda come possono.»
C'è qualcosa di tuo, personale, che hai inserito?
«C'è sempre qualcosa di personale, in particolare c’è l'esperienza che mi ha portato a scoprire una malattia, non mia, che non conoscevo. Un giorno ero a Roma e all'improvviso ho avuto un blackout, non mi ricordavo più le strade, cioè guardavo Roma, che conosco abbastanza bene perché ci ho vissuto, ma non riuscivo a riconoscere dove fossi e come fare per raggiungere quel posto. Sono stati cinque minuti di follia, in cui io non sapevo più che fare, mi ha talmente traumatizzata quest’esperienza da andare a cercare su internet se esistesse un disturbo legato a questa perdita di memoria e si chiama “eminegliegenza spaziale” che succede se hai un trauma. Io non ho avuto nessun trauma, è stato un problema di forte stress, perché poi sono andata a farmi dei controlli per capire cosa fosse successo, però chi subisce un trauma magari cadendo da un motorino, per esempio, può avere questo tipo di problema e, quindi, a vedere i posti ma non riuscire a capire come arrivare da un posto all'altro, avere mancanza di orientamento. Ciò mi ha fatto nascere questa curiosità che è rimasta lì perché è successo un po' di anni prima di scrivere il romanzo, poi quando abbiamo parlato del romanzo, io e Massimo, e abbiamo pensato a due ragazzi che volevamo fossero portatori di un qualcosa di diverso rispetto agli altri, a me è venuta in mente questa malattia e di costruirne una storia.
Di Cristina ho sicuramente la necessità di sentirmi partecipe della vita degli altri, perché la bandiera della sua vita, prima che succedesse questa piccola cosa che poi la fa rinchiudere in se stessa, è una frase di Terenzio: Homo sum, humani nihil a me alienum puto, che significa:Sono un essere umano e tutto quello che è umano non mi è estraneo. Posso essere qualsiasi uomo, ma essendo un essere umano posso provare qualsiasi cosa, che è una frase molto mia, per il mio lavoro soprattutto, quando sono un personaggio io mi calo in quella vita. Quando scrivi un romanzo, come diceva Lello Arena nel famoso film di Massimo Troisi, ma Dante non la conosceva veramente a Beatrice?»
Potrebbe diventare anche un film?
«Chi l’ha letto dell'ambiente, mi ha detto che sembra una sceneggiatura, è diviso proprio come se fossero delle scene. Infatti, a volte, anche per deformazione professionale, invece di dire: il capitolo in cui… nella scena in cui… Sì, potrebbe essere e sarebbe molto bello. Ci sono già stati dei piccoli interessamenti, ma stiamo in fase embrionale, però sarebbe molto bello e anche molto complicato, perché dovremmo trovare due ragazzini di quindici anni con i contro coglioni, ma io ci credo nel futuro nelle nuove generazioni.»