Music & Theater

"Dopo ogni crollo si rinasce”: Marco Mengoni a Eboli come punto di rinascita

Tutte le foto sono di Angelo Tortorella

Con la prima delle tre date al PalaSele di Eboli, il 2 novembre (repliche il 4 e 5), Marco Mengoni approda anche in Campania con il suo Live in Europe 2025, un viaggio che unisce riflessione e divertimento. Dopo il trionfale tour negli stadi, oltre mezzo milione di biglietti venduti, Mengoni torna sulle grandi scene europee che già nel 2023 lo avevano accolto con entusiasmo, proseguendo così il suo cammino artistico oltre i confini e le convenzioni.
Con questo spettacolo, Mengoni celebra sedici anni di carriera e insieme un ritorno alle origini: non solo musicali, ma profondamente umane. Sul palco non si limita a cantare, ma costruisce un racconto. Un teatro dell'anima diviso in sei atti: Prologo, Parodo, Episodi, Stasimi, Esodo e Catarsi, dove voce, immagini e parola si fondono in una drammaturgia intensa e viscerale. Il concetto alla base è chiaro e universale: dopo ogni crollo, si può rinascere.

«Questo tour sono io, la mia esperienza, la mia visione del mondo, ciò che ho imparato negli anni. La vita è un necessario processo di decostruzione per ricostruire, e lo stesso avviene nella società. La musica è il mio modo per raccontare tutto ciò e per rendermi consapevole, trovando la bellezza anche nella fragilità», spiega Mengoni.
In Live in Europe 2025  Marco si espone più che mai, curando in prima persona ogni dettaglio dello spettacolo. Nulla è lasciato al caso: ogni colore, suono, luce, immagine racconta un pezzo della sua visione. Dalla ricerca di un suono inedito che veste i brani di nuovi arrangiamenti, all'ideazione di un palco concepito come un racconto visivo; dall'asta del microfono decorata con le sue stesse mani, ai costumi disegnati seguendo la sua idea di bellezza e verità. Tutto parla di lui, del suo modo di concepire la musica come esperienza totale, sensoriale, rituale.
Il risultato è un'opera simbolica e catartica, che attraversa i grandi temi dell'esistenza, dolore, fragilità, bene, maschio, fino a una liberazione finale. Mengoni costruisce un racconto visivo ed emotivo che esplora i cicli di crollo e rinascita dell'essere umano e della collettività: dopo ogni caduta, si cammina sulle rovine, si scava per eliminare il superfluo, si recupera l'essenziale e si ricomincia da capo.
Lo spettacolo, strutturato in sei capitoli, prende avvio con il Prologo, in cui il palco si apre su uno scenario di rovine: il nostro passato, da cui ripartire. Sei performer, figure misteriose e coperte, popolano la scena, incarnando le vere protagoniste del viaggio: le emozioni, da sempre motore segreto di ogni concerto di Marco Mengoni.
Ogni atto del concerto è introdotto da un monologo. Ad aprire la serata è il Prologo, “Prima di tutto”, un'introduzione che suona come una dichiarazione di poetica. Le parole di Mengoni scorrono come un flusso antico, tra filosofia e confessione: «Dare un nome alle cose significa riconoscerle. Se qualcosa esiste, una parola è stata creata per raccontarla. La vita è l'insieme delle esperienze che siamo portati ad affrontare... A chiunque capirà di attraversare le macerie. Si chiama condividere: dividere con».


Un pensiero semplice e abissale: esistere è nominare, condividere, ricostruire. È l'inizio di un percorso che parla di cadute, perdite e resurrezioni.
Sul palco, il colpo d'occhio è potente: grandi massi e sabbia, come una collina rocciosa, una sorta di monte simbolico. L'immagine rimanda, più che al Discorso della Montagna di Gesù, ai filosofi greci che cercavano l'altitudine per insegnare e interrogarsi sul senso della vita. Mengoni non predica, ma riflette. Non impartisce dogmi, ma offre un luogo del pensiero, dove arte e introspezione si toccano. Ed è da questo paesaggio arido, quasi sacro, che comincia a cantare: Ti ho voluto bene veramente (2015). Il brano, firmato con Fortunato Zampaglione e Michele Canova, risuona come una confessione sospesa tra rimpianto e rivelazione. È una canzone che fotografa il momento in cui l'amore diventa consapevolezza, dove il “tu” diventa specchio e ferita, maestro e fantasma. Mengoni trasforma un sentimento privato in una riflessione universale sul bisogno di riconoscere sé stessi anche nel dolore.
Poi la scena cambia. Le ombre si muovono. E parte Guerriero (2015), che non è solo un pezzo iconico, ma una dichiarazione di identità: è la resistenza emotiva di chi ha imparato che la forza non sta nel vincere, ma nel continuare a cercare sé stesso, anche tra le macerie.
Il secondo monologo accompagna la transizione: «Arriva il momento in cui è necessario fermarsi, levarsi di dosso tutto ciò che potrebbe nasconderci, dagli altri e da noi stessi. Ci sono traumi che possono causare il crollo di un'esistenza, così come ci sono eventi che distruggono l'equilibrio dell'intera umanità. Sta a noi provare a comprendere, imparare dagli errori, mettere a frutto le esperienze, farne tesoro».
Dopo Sai che (2016), la grande scenografia si trasforma: i blocchi di pietra si spostano, la collina si inclina, diventa instabile. È l'inizio del secondo atto, Parodo – Il disincanto del presente. «L'egoismo ha distrutto la nostra idea di società… consideriamo davvero che non sia mai colpa nostra?». La voce recitante del monologo attraversa la platea come un'eco collettiva. Parla della paura che divide, dell'indifferenza che consuma, della solitudine sociale che ci anestetizza. «Siamo molto più bravi a tacere che ad alzare la voce… Dormiamo sonni tranquilli finché qualcuno non deciderà che i nemici siamo noi».
È un momento di teatro puro: Mengoni si fa narratore del mondo, testimone del nostro tempo. Poi la musica ritorna, potente, evocativa. Parte La valle dei Re (2013), che s'intreccia a sorpresa con Black Hole Sun dei Soundgarden. Due universi lontani, uniti dallo stesso grido: quello di chi cerca un senso tra le rovine. Segue Non me ne accorgo (2013), passaggio più intimo e riflessivo, e un nuovo monologo scuote la platea: «Che cosa può smuovere le nostre coscienze, se lasciamo morire gli innocenti senza dire una parola? È il nostro silenzio che lo permette».
Poi arriva il colpo di grazia: Tutti hanno paura (2022), cover di Ernia. Qui Marco non è più un cantante pop, ma un cronista dell'anima, un uomo che guarda in faccia la contemporaneità e ne svela le crepe. Da questo punto in poi, lo spettacolo si apre, si dilata, si fa confessione collettiva. La scaletta scorre in un flusso che unisce i mondi musicali e interiori dell'artista: No Stress (2022), Voglio (2018), Muhammad Ali  (2018). Brani che diventano tappe di una rinascita personale.


Con Episodi, il racconto si sposta sul terreno della trasformazione. Si parte con Fuoco di Paglia (cover di MACE, 2024), una scossa elettronica e visiva che incendia il palco. Poi Cambia un uomo (2021) e Luce (2021), entrambe da Materia (Terra), segnano la svolta emotiva: la voce si fa graffiata, vulnerabile, e il palco si tinta d'oro, quasi a simboleggiare la rinascita dopo l'incendio. Il viaggio prosegue con Hola (2018), un abbraccio sonoro che riporta al bisogno di contatto, di umanità condivisa. Ogni canzone è un frammento di percorso, un passo in più verso la consapevolezza. E si arriva all'altro episodio: Stasimi – Le due vite di Marco , con uno dei momenti più intensi, Due vite (2023) e L'essenziale ( 2013). Due epoche di Mengoni che si guardano negli occhi: il ragazzo che sognava e l'uomo che oggi sa cosa costa restare sé stesso. È una conversazione tra passato e presente, tra idealismo e maturità. A seguire Mi fiderò (2021), La casa Azul  (2018) e Unatoka Wapi  (2022): un trittico che fonde influenze mediterranee e ritmi tribali, tra danza, istinto e appartenenza. 
Siamo all' Esodo : Un fiore contro il diluvio (2021), Non sono questo (2022), Incenso (2023). Un trittico spirituale che unisce le tre anime di Materia: Terra, Pelle, Prisma. Mengoni si avvicina alla conclusione del suo viaggio dentro la fragilità, offrendo un messaggio di resistenza e fiducia: ricostruirsi è possibile, ma solo insieme.
Dal punto di vista musicale, Live in Europe 2025 è una sfida ambiziosa: intrecciare un repertorio pop moderno con una struttura narrativa teatrale. Ogni brano diventa parte di una trama, suddivisa in atti, pensata come un racconto in musica. Un lavoro di ricerca condiviso con Giovanni Pallotti e Francesco Fugazza, co-direttori musicali dello spettacolo, che hanno contribuito a costruire un suono vivo, stratificato, in continua evoluzione.
Sul palco, con Mengoni, una band di tredici elementi e sei performer coreografati da Daniele Sibilli. Le loro presenze fisiche, dall'assolo su Un fiore contro il diluvio alle danze su Mi fiderò e La casa Azul, amplificano il messaggio dello spettacolo: un rito collettivo, dove corpo e voce raccontano la stessa emozione.
Anche la ricerca estetica diventa parte del racconto. I look di Mengoni, disegnati insieme allo stilista Nick Cerioni,  nascono come capitoli visivi di un viaggio, con abiti custom made che seguono l'evoluzione del protagonista: dal disordine delle rovine alla purezza della rinascita. Accanto ai brand storici che lo accompagnano da anni, Mengoni ha scelto di dare spazio anche a giovani designer emergenti, portando sul palco una moda che parla di identità, libertà e rinnovamento.
L'ultimo episodio si chiama Catarsi canta brani come Mandare tutto all'aria (2024), Pazza musica (2023), Sto bene al mare (2025). Con Ma stasera (2021) Marco Mengoni entra nel blocco più emotivo dello spettacolo, quello della catarsi, del superamento, della rinascita. La voce, segnata da un evidente raffreddore, tradisce un po' di fatica, ma lui non si risparmia: canta, balla, si dona. È inimmaginabile per lui sottrarsi all'energia che riceve dal pubblico. «A fine concerto ci arrivo, e riesco ancora a parlare» scherza, prima di intonare a sorpresa Perdere l'amore di Massimo Ranieri, creando un momento corale, intimo, quasi sospeso nel tempo. Quando si accendono le luci per leggere i cartelli dei fan, l'atmosfera si trasforma in un piccolo teatro di affetto affettivo. Ne legge uno: “Facci un TikTok", e lui, con un'ironia irresistibile, rispondendo imitando l'accento napoletano. Poi ride, scherza, gioca con il pubblico. È in questi frammenti che Marco Mengoni mostra il suo lato più umano e autentico, quello del ragazzo che sa ancora divertirsi. Parte Io ti aspetto, e il palco diventa una festa collettiva. Marco presenta i suoi esseri viventi incredibili, i performer e i ballerini che lo accompagnano nel viaggio di questo tour. Chiede chi loro venga alla Campania, quasi tutti alzano la mano. «Se migliora il mio napoletano, è solo colpa loro», ride, «perché sto tutto 'o juorno a parlà accussì».


Poi presenta la sua storica band, ormai una famiglia musicale: Giovanni Pallotti (basso e synth), Peter Cornacchia (chitarre), Massimo Colagiovanni (chitarre), Benjamin Ventura (pianoforte e tastiere), Davide Sollazzi (batteria). Chiara Michelangeli (viola a 5 corde), Francesco Chimenti (violoncello), Giuseppe Scardino (sax baritono, tenore, flauto e vocoder), Mirko Cisilino (tromba, trombone, corno e synth). Fondamentali anche i cori: Moris Pradella (che imbraccia anche la chitarra acustica), Elisabetta Ferrari e la nuova voce di Alice Tombola. Sul palco, sei performer danno corpo visivo alla narrazione dello spettacolo, anche se, come Mengoni precisa, «manca la corista Nicole, influenzata». Poi il tono cambia. Marco si ferma e si apre, completamente. «Vi ringrazio, perché questo spettacolo per me è stato molto importante. È parte integrante del mio percorso psico-emotivo. È nato dalla voglia di superare il momento più brutto della mia vita… e volevo condividerlo. Condividere, mi sembra, dimezza la paura. A me sta facendo molto bene, e questo tour ne è la prova». Un respiro. Una pausa. «Siamo arrivati ​​all'ultimo capitolo: Catarsi. Il superamento di un momento difficile, di una crisi. E io, di cuore, auguro a ognuno di voi di avere la forza di affrontare i momenti che vi stravolgeranno, perché la vita, per forza di cose, a volte lo fa». Ma non finisce qui. Con voce rotta e occhi lucidi, Marco Mengoni aggiunge un pensiero che sposta il peso del concerto sul piano dell'umano e del collettivo: «Vogliamo lasciarvi con una frase. Non è per niente facile salire sul palco e cercare di far divertire le persone in un momento storico in cui, dall'altra parte, ma non molto distante da qui, ci sono persone che perdono la dignità, la casa, la terra e, soprattutto, la vita. Noi ce la mettiamo tutta. E non vogliamo fare politica, perché in certi casi non conta chi voti, conta essere umano. Conta la nostra dignità...». Poi, in silenzio, attacca Esseri umani (2015). E tutto il palazzetto canta con lui. Una preghiera laica, una carezza collettiva.