Music & Theater

Al teatro Nuovo di Napoli un grande spettacolo di umanità: la Tarantina, l’ultimo femminiello di Napoli.

Nei giorni scorsi è andato in scena al Teatro Nuovo di Napoli “La Tarantina” di Fortunato Calvino spettacolo tratto dal film-documento "La Tarantina, Genere Femm(è)nell".
È lei l’ultimo dei femminielli di Napoli, La Tarantina, entra in scena dalla platea con una macchinetta del caffè e dei bicchierini e offre al pubblico un poco di caffè, con questo gesto d’amore e di generosità, ciò che realmente fa ogni mattina nel suo Vascio (abitazione al pianoterra) ai Quartieri Spagnoli di Napoli, la Tarantina sale sul palco e ci fa entrare nella sua umile casa. Si sente ancora l’odore del caffè nell’aria e  guardandola, è indubbiamente una bella signora di una certa età, serena e gioiosa, mai fidarsi delle apparenze, dietro porta le cicatrici e le sofferenze di un’adolescenza di maltrattamenti morali e fisici, fin da quando, da piccolo, viene cacciato brutalmente da casa dalla sua famiglia, a quei tempi, negli anni ‘40 non c’era tutto questo fervore culturale e manco le condizioni sociali permettevano. 
Lo spettacolo, infatti, racconta la vita travagliata di Carmelo Cosma, nata nel 1936 che Fortunato Calvino ha diretto questo ponderoso dramma biografico con una singolare genialità registica. La Tarantina si ritrova a giocare alla tombola scostumata con i suoi amici femminielli nel suo vascio e si lascia prendere dai ricordi e tra un’ingiuria e uno sfottò tra di loro, la Tarantina racconta la sua vita con ricordi evocati, sull’altro lato del palco, dai bravissimi attori Stefano Ariota, Roberto Maiello, Carlo Di Maio, Antonio Clemente che fanno diventare reali i racconti della Tarantina. Così assistiamo a scene di soprusi fatte dalle forze dell’ordine, quand’era ancora adolescente o della sua forte amicizia con un marinaio napoletano a Taranto con il quale poi decide di trasferirsi con l’autostop a Napoli dalla sua Puglia. Agli inizi non capiva perché la vessassero per la sua ingenuità e purezza nel sentire quelle ingiurie che l’hanno accompagnata da bambino, non capiva perché era additata o perché le buttavano addosso immondizia o la chiamavano con epiteti a lei incomprensibili, arrivando a Napoli poi qualcuno la chiama: “Femmenèlla, femmenè!” e lei continuava a non capire, termini che erano lontani dal suo essere e sentirsi donna. 

           
La Tarantina, con un'interpretazione interessante e considerata e con grande naturalezza, ci fa rivivere delle scene veramente sensazionali, di esperienze importanti e forti e crude, poi da Napoli decide di partire per Roma, e arrivano il successo e la fama, sul  marciapiede però, si prostituiva imbellettandosi e indossando minigonne vertiginose. Non c'è alcun dubbio oramai sulla sua sessualità, ora detta lei legge con i suoi “maltrattatori”, diventati i suoi clienti, eppure anche a Roma, nell'epicentro di questa fusione emotiva, La Tarantina si sente inappropriata, sebbene abbia frequentato salotti e feste con i grandi artisti dell’epoca e così conserva il barlume di un’unica possibilità, ritornarsene a Napoli, dove tuttora vive in quei famosi Quartieri Spagnoli che le hanno data un’identità, sana, forte, una certezza e la voglia di gridare al mondo il suo essere, con naturalezza e senza velleità, l’ultimo femminiello di Napoli.