«Quando una canzone diventa un classico, occorre trattarla con rispetto.» Gli Hooverphonic a marzo in Italia. Intervista

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Gli Hooverphonic, guidati da Alex Callier e Raymond Geerts, arriveranno in Italia con due sole date il 22 marzo al Vox Club di Nonantola (Modena) e il 23 alla Latteria Molloy di Brescia dopo l’uscita a novembre del loro decimo album Looking For Stars, che ha ottenuto il disco d’oro in Belgio, la prima volta in 23 anni dichiarano gli Hooverphonic sul loro profilo Facebook.
Novità assoluta, gli Hoover hanno presentato la nuova cantante, sostituendo Noémie Wolfs che ha lasciato la band nel 2015, la diciassettenne belga Luka Cruysberghs, che avrà il compito di incarnare l'anima del gruppo, vincitrice di The Voice Of Flanders 2017, di cui Alex Callier era il suo coach e severo giudice del programma.
Dopo il primo singolo estratto "Romantic", gli Hooverphonic hanno rilasciato un nuovo singolo "Uptight".
In un mondo caratterizzato dalla violenza, voi parlate di romanticismo?
«Viviamo in una società, dove si suppone che bisogna essere romantici e perfetti, come il proprio account su Facebook, tutto deve essere perfetto e fantastico, ma sappiamo che non sempre è così. Ci sono giorni in cui tutto va male, che non sono assolutamente perfetti e non sempre ci sentiamo romantici. Eppure noi viviamo in una società, in cui essere romantici ed essere l’amante perfetto, pare sia la cosa più importante. Sono circa cento anni in cui si è focalizzati sull’imperativo del romanticismo. “I am not romantic” significa non sono dell’umore di essere romantico adesso. In Paranoid Affair cantiamo  “love is overrated”, “l’amore è sopravvalutato”, certo, l’amore è importante, ma non è la sola cosa al mondo. Ho la sensazione che si voglia far passare l’idea che l’amore sia la sola cosa più importante. Le mie parole devono essere lette con una punta d’ironia e humor e con un fondo di serietà.»

                              
Luka sei molto giovane, cosa provi cantando questa canzone?
Luka:«É molto speciale, ma cerco di mettere a confronto questa canzone e anche le altre con esperienze della mia vita, in questo modo posso sentirmi vicino a esse.»
Alex: «Dopo aver scritto, non le spiego il significato di una canzone, lascio che lei possa comprenderne il senso e interpretarla. Io ho scritto molte canzoni per altre persone e, in generale negli Hooverphonic, c’era sempre una donna, per cui sono abituato a scrivere in modo che la canzone sia universale e cioè vissuta, cantata e, quindi, interpretata da differenti persone. A me piace l’idea che i miei testi siano lì per tutti. Non è importante che a cantarli sia una donna o un uomo, non è importante l’età, tutti possono avere l’opportunità di cantare questi testi. Perciò se canti “I am not romantic” all’età di 17 anni o a 45, sarà diversa per ciascuna delle volte ed entrambe saranno interpretazioni valide.»
In che modo il Belgio ha contribuito alla vostra crescita. Certe volte come paese è ignorato, infatti, c’e’ chi pensa che Jaques Brel sia francese. Molti artisti che vengono dal Belgio come Stromae, dEUS, come ti spieghi che molti, tra questi anche gli italiani, non li conoscono?
«Innanzitutto il Belgio è un paese in cui c’e’ surrealismo ed ecco spiegato i Delvo o altri artisti che sono abbastanza surreali. È uno dei pochi paesi con una lingua neolatina e una germanica, quindi, con due culture che convivono, i fiamminghi, come noi, e i francesi. Questo ha fatto di noi l’essere molto aperti verso altre culture, per esempio, quando ero un ragazzino, alla radio ascoltavamo musica francese, inglese, americana, italiana, tedesca, insomma, ascoltavamo di tutto. Abbiamo tante influenze che molte persone non hanno. Infatti, se vai in Olanda, paese vicinissimo, ti renderai conto che ascoltano solo musica con una radice più germanica, in un certo senso sono più sciovinisti, noi in Belgio non lo siamo per nulla. Siamo un po’ “meno favoriti”, e questo ci ha dato una spinta a essere più creativi e, quindi, riesci a prendere, quasi a rubare, idee un po’ da tutti e, infine, riesci a combinare tutte queste cose in uno schema che nessuno riuscirebbe a farlo. Forse questo è uno dei motivi per cui abbiamo successo negli Usa, non cerchiamo di essere una band americana o inglese, noi cerchiamo di essere gli Hooverphonic dal Belgio e tutto ciò, per un americano, può sembrare quasi esotico, così, anche per una persona che parla francese, la nostra musica pur avendo una certa influenza francese, avrà anche altre influenze culturali, linguistiche. Questa è anche la frustrazione degli Olandesi nonostante essi siano più pseudoartistici di noi, però noi raggiungiamo un successo maggiore per questa nostra capacità di mescolare più culture e renderle un qualcosa di speciale e unico.»

                                
Per questo vostro nuovo album avete creato una playlist imitando un po’ Spotify… 
«Gli Hooverphonic sono una band eclettica da molto tempo, infatti, il nostro album più
famoso “The Magnificent Tree” ci sono canzoni come “Every time we live together...”, molto new wave, mentre “Mad about you” è molto nelle corde degli anni ’50. E il nostro ultimo album “In Wonderland” riflette a pieno questa caratteristica di eclettismo, data anche la presenza di diversi cantanti.
Dopo di ciò avevamo il desiderio di realizzare i successivi tre album che fossero più omogenei. Volevamo fare un album più trip-hop, un altro più alla Ennio Morricone e John Berry, e un altro ancora più funky pop tunes. Quando Luka è arrivata, questi tre album erano già scritti, lei  li ha ascoltati e ha detto: “Voglio cantare questo, e questo e questo…”, quindi, lei ha scelto diverse canzoni da ciascun album. Così ho pensato di fare una playlist, all’inizio ero alquanto sorpreso quasi disorientato, perche quando sto scrivendo un album sono come isolato, concentrato e all’improvviso qualcuno ti prende e ti porta via da tutto ciò, per cui è servita una settimana prima che potessi uscire da questa mia “comfort zone” e mi dicessi: “Perche no, perché non creare un best of e metterli tutti in un album?”. Come succede con Spotify, dove è possibile ascoltare delle playlist, dei singoli come negli anni ‘60. E così abbiamo pensato di fare un unico album eclettico, fare di nuovo qualcosa in cui siamo bravi, un album belga-surrealista.»
Puoi dirci qualcosa riguardo il tour? 
«Sarà un perfetto mix di classici della band, singoli, ma anche nuove canzoni. Dopo vent’anni vogliamo suonare i nostri classici in una maniera più vicina all’originale, perché dopo vent’anni queste nostre canzoni hanno raggiunto lo status di pezzi classici del nostro repertorio. E quando una canzone diventa un classico, occorre trattarla con rispetto e suonarla come un classico. Suoneremo canzoni molto fedeli all’originale, alcune un po’ più distanti da essi e nuove canzoni, un buon equilibrio tra tutte queste cose. Perché se è vero che scriviamo nuovi album, noi abbiamo anche vecchie canzoni da suonare dal vivo. E poi la voce di Luka apporterà un nuovo e più fresco approccio.»
Qual è il vero mood di quest’album?
«Nella sua essenza più profonda è un trip hop album, con un paio di tracce uptempo, Little Skies, Paranoid Affairs, On and On, Sleepless, Concrete Skin, sono canzoni dark e lente. La parte principale dell’album ricorda le nostre radici ed è forse anche il nostro album più elettronico.  Abbiamo iniziato con uno stile elettronico, poi siamo andati verso un sound più acustico con l’ausilio dell’orchestra e poi siamo ritornati all’elettronico, a queste origini trip hop, ma sempre con un senso del tempo attuale, non abbiamo mai copiato ciò che eravamo. Ci sono influenze di quel nostro passato, ma con un orecchio all’oggi. 
Se fai un buon piatto di spaghetti al ragù non puoi cambiare la ricetta di un classico, ma di certo ciascun chef ha un suo segreto per attualizzare il piatto. E la musica non è tanto differente. Forse, per i nostri fan più vecchi, nell’ascoltare le prime canzoni noteranno sicuramente quest’aspetto trip hop, ma poi ascoltando “Romantic” ci sarà il richiamo alla musica del 2010, ma poi ascoltando “Uptight“ c’è un aspetto funky. Ecco, un album eclettico.
Ed è anche vero che oggi viviamo in un mondo eclettico. La moda, per esempio, dove oggi tutto è possibile. Quando ero ragazzo, i bootcamp jeans erano completamente fuori moda, i jeans dovevano essere skinny, molto attillati; negli anni ‘90 ritornano i bootcamp. Ricordo una volta, entrai in un negozio della Diesel e cercavo dei jeans stretti e l’assistente alla vendita mi disse: “No, signore, non sono più di moda.” Ed io risposi:“Ma le sembro alla moda? Ho portato per tutta la mia vita questo tipo di jeans. Questa è la mia uniforme e la voglio indossare ancora…”., “Beh, signore, allora, deve provare da Levis!”.
Ed oggi, se ci guardiamo intorno, nella moda tutto è possibile, vedi ogni tipo di jeans: skinny, baggy, di tutto. E forse nella musica è proprio così, questi tempi eclettici sono perfetti per la nostra musica. É un po’ come mangiare ogni giorno un qualcosa di diverso. Noi siamo influenzati un po’ da tutto.»

                            
C’è sempre stato nella vostra musica una certa connessione con l’Italia, la vostra canzone Amalfi, l’esperienza con Luca Chiaravani. Quest’album risente dell’influenza italiana?
«Certamente c’è una buona connessione, anche perché ho scritto “Romantic”, “Uptight” e “Horrible person” con Luca Chiaravani e Horrible person l’ho scritta con lui e Chantal Saroldi. Ho trascorso molto tempo in Italia mentre scrivevo le mie canzoni, e lo faccio ancora, in un posto meraviglioso come Gallarate (ride). Nella nostra musica c’è di certo un’influenza latina, francese, italiana e questo determina che un cantante americano non potrebbe mai comporre questo tipo di musica. E poi, quando la mamma di Luca cucina per noi, è l’apoteosi!»