Medea di Portamedina al San Ferdinando fino al 5 Maggio 2019

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Medea di Portamedina al San Ferdinando fino al 5 Maggio 2019

Il noto romanzo di Francesco Mastriani del 1882 viene riletto dalla regista Laura Angiulli per lo spettacolo Medea di Portamedina ­- Coletta Esposito in arte Medea che resta al Teatro San Ferdinando di Napoli fino al 5 maggio.

L’autore si ispirò al mito dell’eroina greca cantata da Euripide e a un fatto di cronaca avvenuto a Napoli nei primi dell’800 mescolandoli sapientemente e riuscendo a districare emozioni, sentimenti e angosce di tutti i personaggi della vicenda, ma in particolare di Coletta-Medea.

Nella trama, Coletta Esposito, abbandonata dalla madre nella Ruota degli esposti all’Annunziata, sposa per obbligo un vecchio ricco usuraio ma si innamora dello scrivano Cipriano Barca diventandone l’amante e rendendolo padre di una bambina. L’uomo però l’abbandona per sposare Teresina, una giovane donna di buona famiglia. Coletta allora decide di uccidere sia la figlia che la futura sposa.

In un’intervista rilasciata ad Adriana Morra per il giornale Proscenio, la regista napoletana, così si esprime su Coletta Esposito:«É un personaggio del popolino, ignorante, giovanissima e sola, una figura dannata che non esita ad uccidere sua figlia per evitarle una sorte come la sua. Il suo gesto è dettato dalla disperazione ma è ugualmente ingiustificabile». E ancora:« La Medea greca ha uno scopo politico nell’uccidere i figli avuti da Giasone ed è una maga, un’alchimista. Coletta invece vive nell’inferno e la sua unica certezza è l’amore che nutre per Cipriano Barca. Quando lui la lascia la condanna ad un’infelicità fatale».

           

Coletta non ha alcun ripensamento: è lucida e spietata, feroce e passionale. In lei non allignano né pietà né pentimento. É un’anima ferita e dannata. La sua è una vendetta ragionata che scaturisce dalla sofferenza di figlia, madre e sposa negata. Non possiede alcuna capacità di controllo nella la sua furia omicida perché non è mai stata amata e soffre per la “crisi dell’abbandono”.

Non ci sono risposte per la disperazione che nasce da questi delitti ma solo domande che restano tali, intrise di orrore e di compassione.

Lo spettacolo proposto al San Ferdinando riesce a fare propri tali interrogativi e a modularli tra pietà e repulsione, compatimento e disprezzo.

Fin dalle prime battute, su una scena scarna e poco illuminata dove a malapena si intravedono penzolanti dal soffitto alcune sedie, un comò e un grosso letto matrimoniale, entriamo nell’inferno di Coletta.

Lei stessa ci parla della sua vita vissuta fino a quel momento come “figlia della Madonna”, costretta a sposare un vecchio,della sua fuga, del suo amore per Cipriano e della sua atroce vendetta.

Le musiche di ispirazione greca sottolineano i vari passaggi della vicenda e in modo corale gli interpreti ne accentuano il significato.

Coletta Esposito, personaggio dalle tinte forti e fosche ha il volto e la fisicità di Alessandra D’Elia che incarna vittima e carnefice in un crescendo rossiniano di emozioni e stati d’animo contrastanti. L’attrice rende bene la mancanza d’amore di Coletta e quel suo risentimento verso il mondo e verso Dio che sono alla base del suo atroce comportamento.

Pietro Pignatelli è credibile nel ruolo di Cipriano Barca per il suo aspetto belloccio e la sua recitazione puntuale e disinvolta.

Meritano una menzione gli altri attori: Paolo Aguzzi, Federica Aiello, Agostino Chiummariello, Michele Danubio, Luciano Dell’Aglio, Caterina Pontrandolfo, Caterina Spadaro, Antonio Speranza, Fabiana Spinosa.

Si ricorda che le scene sono di Rosario Squillace e le musiche originali di Daniele Sepe.

La lapide dedicata a Francesco Mastriani sulla facciata del Teatro San Ferdinando, apposta nel 1924 dalla Gazzetta del Mezzogiorno, così recita:”Egli fu l’individuazione di questo popolo napoletano/lavorare sognare, soffrire pazientemente e morire. Si intendevano l’un l’altro./Egli aveva visitato l’ultimo tugurio e il popolo/si riconosceva in lui. In un altro Paese sarebbe diventato ricco/ma l’Italia povera come lui non merita rimprovero”. G.Bovio

Quanti spettatori l’avranno vista e letta prima dello spettacolo? In pochi. Eppure, in queste poche parole che ricordano Mastriani ,antesignano del realismo francese e del verismo italiano, è racchiusa la vicenda di Coletta Esposito, una figlia del popolo napoletano sulle cui umane vicende è necessario stendere il velo della pietas virgiliana.