Le Rane di Aristofane “gracidano” al Teatro San Ferdinando fino al 18 novembre 2018 

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Le Rane di Aristofane “gracidano” al Teatro San Ferdinando fino al 18 novembre 2018 

Dopo il fortunato debutto al Teatro Greco di Siracusa e un passaggio sulle reti televisive nazionali, approda al Teatro San Ferdinando di Napoli fino al 18 novembre la commedia Le Rane di Aristofane con Salvatore Ficarra e Valentino Picone.
Nati nella trasmissione Zelig, registi e protagonisti di cinque film (Il 7 e l’8, La matassa, Anche se è amore non si vede, Andiamo a quel paese, L’ora legale), conduttori di diverse edizioni di Striscia La Notizia, si cimentano, nientepopodimeno che con un testo di Aristofane, considerato il “padre” della commedia greca.
Sicuramente l’operazione ha richiesto un minimo d’incoscienza da parte dei due protagonisti, ma si sa che oggi le produzioni vogliono andare sul sicuro e il duo comico palermitano ha tutti i numeri per assicurarsi la simpatia di una fascia di pubblico lontana dal teatro per giunta classico. Eppure il testo de Le Rane, scritto nel 405 a.C., è di un’attualità sorprendente. La commedia è una dura critica alla società ateniese e alla sua decadenza morale e civile. Atene è devastata dalla guerra con la sua antica rivale Sparta ed è governata da demagoghi rozzi, supponenti e corrotti. Un episodio emblematico della situazione d’incertezza e di difficoltà è al centro della commedia: la battaglia delle Isole Arginuse dove i comandanti della flotta ateniese non recuperano gli equipaggi delle navi affondate e, nonostante la vittoria conseguita, vengono processati e condannati a morte. Atene si priva così dei suoi migliori comandanti e rende vana la vittoria ottenuta con tanto sacrificio.  Che fare? Il Dio Dioniso (Salvatore Ficarra) e il suo fedele servo Santia (Valentino Picone), scendono nel regno dei morti per riportare sulla terra Euripide (Gabriele Benedetti), ultimo grande rappresentante della tragedia greca e uno dei massimi esponenti della cultura ellenica.


Il viaggio è ricco di “sorprese”: devono affrontare il golosissimo e sbruffone Eracle, un coro di Rane-Cigni che cantano a cappella, una sfida letteraria tra Euripide ed Eschilo, l’irascibile Eaco, alcuni fanatici di culti mistici e orgiastici ed altri loschi figuri. Riescono nel loro intento? Non vogliamo svelare il finale. Diciamo soltanto che compaiono al termine dello spettacolo, su un maxischermo, Pier Paolo Pasolini ed Ezra Pound che discorrono tra loro, a suggellare l’importanza della cultura e il ruolo politico e civile degli intellettuali.
Nel periodo storico nel quale viviamo ci sono diverse analogie con la decadenza vissuta in quei secoli lontani da Atene. In particolare in Italia non abbiamo più scrittori di denuncia. Gli intellettuali non sono più “il lievito” del cambiamento e del progresso. La corruzione e una certa mentalità camorristica spadroneggiano insieme alla perdita del senso civico. L’indignazione ha lasciato il posto alla rassegnazione. Il forte e potente messaggio lanciato da Aristofane è, quindi, il seguente: soltanto la cultura può salvarci dall’imbarbarimento e dalla decadenza. Dioniso e Santia non cercano, infatti, negli inferi un politico, un condottiero, un santone bensì un intellettuale che, con la sua forza morale e la potenza delle sue idee, riscatti la città di Atene.
Lo spettacolo, avvalendosi dell’efficace traduzione di Olimpia Impero, rimane alquanto fedele all’originario aristofaneo (eccetto che per i dialoghi tra Euripide ed Eschilo ridotti per esigenze di tempo) ma è stato reinterpretato secondo modelli stilistici moderni. Vediamo sulla scena Dioniso con gli sneakers e un Santia in un completo tartan (costumi di Francesco Esposito), le musiche “contemporanee” dei SeiOttavi, con vestiti e cappelli sgargianti, sostituiscono egregiamente l’uso del “coro greco” e i due intellettuali, Eschilo ed Euripide indossano abiti contemporanei mentre si sfidano nella tenzone poetica.
La regia di Giorgio Barberio Corsetti, efficace e puntuale, mette in risalto le doti interpretative degli attori che calcano la scena e valorizza le coreografie dell’Inda (Istituto Nazionale Dramma Antico).
Per il duo Salvatore Ficarra - Valentino Picone meritati applausi, scroscianti e calorosi. Ne eravamo certi non solo perché hanno raccolto la sfida di recitare un testo difficile e poco rappresentato, ma perché l’hanno fatto con “leggerezza” e padronanza scenica.
Un’ultima curiosità: perché il titolo Le Rane alla commedia? Accade spesso nelle opere teatrali o nei romanzi  che un episodio diventi il simbolo dell’intera storia narrata e il significato degli eventi si cristallizza su questo simbolo che acquista così importanza a prescindere da quanto spazio abbia nella vicenda. Le rane, con il loro canto, simboleggiano il valore e il potere della poesia tanto cara ad Aristofane.

Foto di Maria Battaglia.