“L'attore è un mestiere che si fa per gli altri, non per se stessi.” Lello Arena dirige la Cilea Academy - Intervista

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“L'attore è un mestiere che si fa per gli altri, non per se stessi.” Lello Arena dirige la Cilea Academy - Intervista

È il secondo anno che il grande attore e regista Lello Arena è alla direzione della Cilea Academy, con il suo gruppo di docenti scelti in vari ambiti creativi e professionali, nel corso di due Open Factory e delle lezioni settimanali, farà da base al percorso didattico e lavorativo degli allievi. 
Cilea Academy è fucina di nuovi talenti e luogo di aggregazione per creare una nuova generazione di artisti e, più in generale, per riavvicinare i giovani al teatro e all’arte. 
Gli allievi saranno accompagnati in un percorso completo e strutturato attraverso le varie materie: 
La prosa affidata a Lello Arena, il canto e la tecnica vocale a Enzo Avitabile, il movimento coreografico ed arte scenica coordinati da Fabrizio Mainini e, infine, la sezione Il Comico, voluta, ideata e diretta  da Nando Mormone, papà di Made in sud, che sarà dedicata alla comicità nell’attore.
Il percorso dell’Academy è strutturato in un Triennio di studi, con frequenza tri-settimanale. Durante i tre anni saranno organizzati periodicamente degli Open Factory, degli stage con grandi Maestri della scena nazionale e internazionale, che si mescoleranno agli allievi della Academy. 
Lei è impegnato all'Accademia del Teatro Cilea. Com'è andata l'anno scorso e cosa invece succederà quest'anno?
«L'anno scorso abbiamo avuto due corsi del primo anno che ci hanno condotto a una stagione emozionante, esaltante, didatticamente molto convincente il cui stage finale, una specie di saggio durato tre ore e mezzo, ancora lo ricordiamo, mi vengono i brividi solo a pensarci. Questo corso, unito anche all’esibizione dell’accademia alle serate dedicate a Massimo Troisi a Piazza del Plebiscito, ha fatto capire che l’accademia del Cilea è una scuola professionale, non è il dopolavoro delle Poste, non è un luogo dove si può fare l’hobby del teatro. È una scuola che, in tre anni, forma delle nuove realtà del panorama teatrale italiano, infatti, quest'anno, poiché hanno capito che è una scuola professionale, sono arrivate persone di talento migliore, più determinate che hanno bisogno di fare un corso triennale di studio e diventare gli attori di domani e ciò fa pensare che quest’anno avremo due classi meravigliose sulle quali lavorare. È il sogno di una nuova scuola a Napoli, quando Mario Esposito me la propose, ero titubante, gli dissi: “A Napoli ci sono 2000 scuole di recitazione, più scuole di recitazione che chiese.” Poi quando le cose si fanno con un'altra idea in testa, diventano più belle e più interessanti.»
Qual è la prima cosa che dice agli allievi? Il primo consiglio?
«Dico che ci vuole moltissima pazienza, soprattutto in un posto dove si va per studiare, bisogna imparare le cose che uno non sa fare. Gli allievi, di solito, anche con una certa ingenuità, arrivano dicendo:  “Io so fare tutte queste cose. Perché non mi prendono?” Perché non ne sai fare altre 2000 che, invece, è meglio che te le insegniamo noi, così ne sai 2002 e allora ti pigliano sicuro. È, soprattutto, un mestiere che si fa per gli altri, non per sé stessi. Tutti equivocano pensando che sia un lavoro che è il massimo della vanità, il massimo della soddisfazione personale, invece, ci sono sicuramente degli effetti collaterali, molto piacevoli certo. Quello che s’impara è che si sta sul palco per raccontare le storie meravigliose scritte dai grandi autori e non si può certamente pensare che si fa teatro perché devi divertirti, gli autobus che girano in città non è che girano per far divertire l'autista, si tengono gli autobus perché la gente deve andare da un posto all'altro. Se uno si mette con questa logica, già capisce che è un altro lavoro.»

                       
Una mia vecchia curiosità: la parlesia che lei ha usato nel film “No grazie, il caffè mi rende nervoso” si parlava all’epoca del film, adesso è in disuso. Lei la usava?
«Sì, c’era una parlesia dei musicisti, un’altra che usavano gli addetti ai lavori, invece, quella usata nel film è una parlesia che usavano i vecchi camorristi di una volta, che lo facevano più per fare l'effetto, perché poi non capiva niente nessuno, non si capivano nemmeno tra di loro, la tragedia era quella. Devo dire, però, che mi ha messo in condizione di scrivere una delle scene più divertenti del film e ancora oggi la gente ricorda quella scena.
Ancora adesso alcuni musicisti la usano abbastanza, è un po' un codice, più per riconoscersi tra di loro che non perché serva veramente a qualcosa, oramai penso non serva più a niente. A me ancora chiedono se “Mannitidiriale” è tutto attaccato o staccato, la gente si diverte in tanti modi e noi facciamo quello, inventiamo delle cose.»
Ultimamente ha anche curato la regia del film “Finalmente Sposi”…
«Io adoro Enzo e Monica, sono due comici di grandissima qualità, destinati a fare delle cose straordinarie, per adesso abbiamo visto nemmeno il 2% di quello che possono fare ed io, quando si tratta di dare una mano a persone di questo calibro, sono molto contento. Il film ha combattuto con dei filmoni enormi, ha dato del filo da torcere a tutti ed è tra i primi 25 incassi di tutto il cinema italiano. Adesso è sulla piattaforma Amazon Prime e anche qui è tra i favoriti, tra i più scelti. È bello vedere che un film nato in condizioni di una certa emergenza e girare a low budget,  concedendosi tutti i lussi, abbiamo girato 90 minuti di film in più che spero un giorno si vedranno, perché sono molto divertenti,questo per dire che se uno ci si mette con passione e determinazione, può dare un supporto agli artisti e metterli nella condizione di tentarne tante, di tentarne di tutti i colori e succede sempre che c'è un'idea meravigliosa e, invece, poi,  per qualche ragione,  non viene  come pensavi che venisse, se ne hai altre due che sono venute benissimo, stai tranquillo. Se, invece, devi per forza metterci quella, nonostante sia venuta male, è brutto e, quindi, se posso fare protezioni in questo senso con i giovani, mi fa molto piacere.»
Dopo questa regia vorrebbe fare un film nuovo? Scrivere una sceneggiatura?
«Io già l'ho fatto, non ho queste necessità. Mi piace molto lavorare passo per passo su delle idee, su dei progetti, piuttosto che fare dei programmi. I programmi non servono a niente, magari pensi a una cosa che per qualche ragione, il mercato la rigetta, prima mi sarei messo a testa bassa come un toro, buttare giù le pareti, invece, bisogna anche capire che il mercato non è cattivo, il mercato ti dà delle indicazioni e se all'interno di quelle indicazioni riesci a trovare la tua strada, ben venga, perché si lavora meglio tutti quanti.»

Parenti Serpenti. Foto di Luigi MAffettone
Lei ha detto: l'attore come mestiere del dopolavoro…
«Oggi i talent hanno dato la sensazione che tutti possono fare tutto, quello che poi si deve vedere in un talent, non è tanto che la gente sappia veramente cantare o recitare o ballare, ma più che altro che si disperi, pianga. I talenti veri sono in giro in Italia che cantano, ballano, recitano, stanno in teatro, certamente non in un talent show, perché lì non serve, lì servono quelli che si disperano, quelli che litigano, che fanno baruffa. Io dico alla gente, se vogliono andare a vedere la gente che canta, andassero a vedere un concerto. Se volete vedere la gente che recita, andate a teatro o al cinema, andate dove la gente veramente fa il mestiere, piuttosto che facciano finta e questo crea anche un po' di sollievo in più, perché così si capisce che sono mestieri molto duri, molto difficili e che non basta passare una volta in televisione per diventare una star.»