«La gavetta è la miglior palestra». Intervista a Ruggero Ricci

- di

Ruggero Ricci sin da bambino coltiva la passione per il canto, la sua prima volta sul palco è stata durante la recita scolastica dove si è cimentato nel brano New York New York di Lisa Minelli, da lì ha capito che era la sua strada ed ha iniziato a studiare e perfezionarsi fino ad arrivare a raggiungere traguardi importanti, come la vittoria nel 2013 del contest Music Sanremo Awards come miglior cantautore dell'anno e ad aprire i concerti di Michael Bolton e i Nomadi.

È uscito il suo nuovo singolo "Tsumani" che anticipa il terzo disco "Acquario" (PMS studio), di cui è in rotazione anche un video per la regia di G. Zannoni.

Come nasce la tua passione per la musica?
«Fin da bambino ho cantato, il tutto nacque durante la mia prima recita alle elementari dove interpretai il brano “New York New York” di Liza Minelli. Poi presi lezioni di canto, cambiai diversi insegnanti fino a quando conobbi Cheryl Porter. Fu lei a farmi innamorare della musica e della didattica del canto. Ad oggi lei e il dott. Franco Fussi costituiscono i principali modelli a cui mi ispiro!»

Quale artista ha influenzato il tuo stile musicale?
«L'artista che mi ha influenzato di più in assoluto, credo sia stata Amy Winehouse. Feci un tour a Londra nel 2014 e visitai la sua casa, a Camden Town e fece scattare una scintilla in me».

C'è stato un momento in cui hai capito che la musica poteva concretizzarsi e diventare una vera e propria professione?
«Il giorno in cui ricevetti la mia prima proposta contrattuale da parte dell’etichetta PMS Studio, quando firmai il mio primo contratto capii che le cose sarebbero cambiate in positivo e così fu».

Quale messaggio vuoi trasmettere a chi ascolta la tua musica?
«Non c’è un solo messaggio in particolare, ogni canzone che scrivo costituisce un catalizzatore a se stante».

È uscito il tuo nuovo brano "Tsunami". Ce ne parli?
«Tsunami racconta della forza che un amore può generare al suo termine, una forza talmente distruttiva che quando passa lascia terra bruciata.
Serviva un singolo forte, di impatto, dove potevo mettere in luce non solo le mie doti vocali, ma un grido disperato di sofferenza che sentivo dentro e che, grazie a questa canzone, sono riuscito a sfogare a 360°».
Nel tuo percorso artistico hai avuto l'onore di collaborare con nomi importanti come i Nomadi e Michael Bolton, che cosa hai provato e che ricordi hai di queste esperienze?
«Fare gavetta è fondamentale per un artista. Ebbi l’incarico importante di aprire dei concerti tra cui quello dei Nomadi e quello di Michael Bolton, esperienze che mi hanno fatto maturare la consapevolezza che solo sul palco puoi farti le ossa, in quanto devi imparare a gestire emozioni, tecnica, interpretazione e presenza scenica. Ecco perché i grandi palchi costituiscono la migliore palestra per migliorare».

Oggi una gran fetta del mercato musicale è dominata da cantanti usciti da talent show. Che cosa pensi in merito? Hai provato mai a partecipare?
«Mi fanno spesso questa domanda, ci provai in passato e fu un processo necessario per farmi rendere conto di alcune dinamiche e meccanismi che dominano il mercato musicale. Ad oggi, non penso siano fondamentali per avviare una carriera. Alla fine non è nemmeno difficile entrarci, il problema è poi continuare dopo che il talent finisce. Credo sia quella la parte più difficile da gestire».

Che cosa stai progettando in questo periodo?
«Sto scrivendo un sacco di canzoni. Mi ritengo molto fortunato perché vivo grazie alla musica, mi mantengo costantemente in allenamento e ho un sacco di ispirazioni nuove. Nel nuovo disco che sto progettando mi piacerebbe sperimentare, osare, mostrare nuovi lati di me».