“La classe operaia va in Paradiso” al Bellini di Napoli fino al 14 aprile 2019. Recensione

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“La classe operaia va in Paradiso” al Bellini di Napoli fino al 14 aprile 2019. Recensione

Non è facile adattare per il teatro un film che ha colto gli umori e le speranze del nostro Paese, quando proletariato e sindacati lottavano insieme per avere riconoscimento sociale e imporre ai padroni delle fabbriche con cortei,mobilitazioni e scioperi, migliori condizioni lavorative e salari adeguati.

Ci è riuscito appieno il regista Claudio Longhi che, affidando la riscrittura a Paolo Di Paolo e la rappresentazione teatrale a un cast di attori tra i quali emerge Lino Guanciale, approda al Teatro Bellini di Napoli con lo spettacolo La classe operaia va in paradiso.

Il film omonimo è del 1971, vincitore della Palma d’oro al Festival di Cannes, diretto da Elio Petri,sceneggiato da Ugo Pirro con un cast d’eccezione:Gian Maria Volontè, Salvo Randone e Mariangela Melato.

Ludovico Massa detto Lulù, operaio stakanovista, ha come obiettivo della sua vita il guadagno mediante il lavoro a cottimo. A causa di un incidente sul lavoro con perdita della terza falange dell’indice della mano destra, viene licenziato in tronco. Solo allora comprende di appartenere alla classe operaia che per il sudore e la fatica spesa nelle fabbriche dove dettano legge i padroni merita di raggiungere il Paradiso.

               

L’impianto scenico dello spettacolo si rifà a un altro film famosissimo: Tempi moderni del 1936, diretto da Charlie Chaplin. Lo spettatore vede due pedane sulle quali ci sono due nastri trasportatori simbolo del lavoro ripetitivo e per questo alienante degli operai di una fabbrica.

Il pubblico viene ampiamente coinvolto durante la rappresentazione. Si aggirano, infatti, nella platea operai, sindacalisti, studenti e il cronometrista che dà il ritmo alla produzione da vero negriero. Ma il vero colpo di scena lo offrono gli attori che impersonano Elio Petri e Ugo Pirro, rispettivamente Nicola Bortolotti e Michele Dell’Utri che hanno la funzione narrante della storia e dell’approfondimento dei temi trattati, nonché il cantastorie Simone Tangalo.

La storia di Lulù Massa è di un’attualità puntuale e sconvolgente.

Sappiamo tutti che in Italia sono aumentati gli incidenti sul lavoro perché la crisi economica incide sui sistemi di sicurezza. E sappiamo che, sebbene i ritmi di produzione siano diversi e le “macchine” abbiano sostituito i lavori più ripetitivi, la “questione fabbrica-operai” non si è per niente risolta, anzi si è inasprita per la chiusura di molti stabilimenti, per i salari non adeguati al costo della vita, per la presenza ancora più ingombrante delle multinazionali, per il portare all’estero sede e capitali in modo che i padroni non paghino le tasse in Italia, per la globalizzazione e la manodopera a basso costo( es. Cina-Paesi dell’est europeo) e non ultima la latitanza della Sinistra.

               

Eppure gli operai ci sono, il proletariato resiste anche se fa meno figli a causa della crisi e i turni restano a Mirafiori come a Termini Imerese, a Taranto come a Pomigliano d’Arco. E i giovani non vogliono essere sfruttati e snobbano il lavoro in fabbrica e si recano all’estero.

Tutti gli attori sono capaci di far vivere al pubblico quest’esperienza e in particolare il protagonista Lulù Massa ovvero Lino Guanciale, la cui interpretazione non lascia dubbi sulla sua profonda capacità attoriale al punto da non far rimpiangere il grande Gian Maria Volontè.

Dalle prime battute ci rendiamo conto che è un attore di spessore e di notevole capacità scenica. Il grande pubblico lo conosce per i suoi ruoli nelle fiction televisive, ma dimentica che ha iniziato la sua carriera con Gigi Proietti, Franco Branciaroli, Michele Placido e il grandissimo Luca Ronconi.

Ricordiamo che per questo ruolo ha vinto i prestigiosi premi ANCT (Associazione Nazionale dei Critici Teatrali) e Ubu (fondato nel 1977 da Franco Quadri ed è il corrispettivo del David di Donatello per il cinema).

Non sono da meno le attrici che impersonano la moglie, l’amante e il “mitico” Militina, rinchiuso in un manicomio per la sua alienazione lavorativa ma lucidissimo nel suo monologo, quasi alla fine della rappresentazione, che vorrebbe sollevarsi dalla sua sedia a rotelle per smantellare mattone dopo mattone la fabbrica che lo ha visto smarrito, depresso, malato. Ecco i loro nomi:Donatella Allegro, Diana Manea, Franca Penone.

           

La scena finale dello spettacolo che dura 2 ore e 30 è potente: Lulù Massa non può cambiare da un momento all’altro la sua vita e i suoi amori. Egli resta un operaio fino al midollo, ma può abbattere il muro dell’indifferenza e della costrizione che questo ruolo gli impone. Ed ecco cadere “il muro” in una nuvola di polvere che si propaga in tutta la platea.

Ricordiamo che le scene sono di Guia Buzzi, i costumi di Gianluca Sbicca, le luci di Vincenzo Bonaffini, i video di Riccardo Frati e le musiche di Filippo Zattini. Produzione Emilia Romagna Teatro Fondazione.