Francesco De Gregori: “Racconto la mia vita attraverso le mie canzoni, senza pruriginosi monologhi durante i live.”

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Francesco De Gregori: “Racconto la mia vita attraverso le mie canzoni, senza pruriginosi monologhi durante i live.”

Foto di Garofano Nicola - Conferenza stampa Milano

Domani in prima serata Francesco De Gregori su rai3 alle ore 21.40 nel film documentario di Daniele BarracoVero dal Vivo” sul tour invernale 2017 del cantautore italiano che anticipa i due interessanti progetti live per il 2019: Off The Record, dal 28 febbraio al 27 marzo 2019 sarà nella piccola sala del Teatro Garbatella di Roma di fronte a un pubblico di 230 spettatori a sera, un teatro parrocchiale che diventerà la casa di De Gregori con scalette che varieranno di sera in sera e accompagnato dai suoi fedeli musicisti (Guido Guglielminetti al basso e contrabbasso, Carlo Gaudiello al piano e tastiere, Paolo Giovenchi alle chitarre e Alessandro Valle alla pedal steel guitar e al mandolino). E, l’altro progetto, De Gregori & Orchestra - Greatest Hits Live il cui debutto è l’11 giugno a Roma nella splendida cornice delle Terme di Caracalla per poi concludersi il 20 settembre all'Arena di Verona dove anche la  gradinata sarà numerata. È la prima volta che il cantautore affronta un tour del genere in spazi prestigiosi molto grandi e con un'orchestra di 40 elementi con un nucleo centrale, gli Gnu Quartet, oltre alla band storica di Francesco De Gregori. 
Che tipo di film è Vero dal Vivo?
«Non é un film musicale, le canzoni sono al massimo due o tre e nemmeno eseguite dall'inizio alla fine e il fotografo e regista Daniele Barraco, con il quale negli anni ho acquistato sempre maggiore confidenza, è riuscito a stare appresso a me e alla band in questo giro fatto in Europa e in America l'anno scorso, sparendo, cioè non è mai stato invasivo con la sua telecamera e questo ha permesso che il film si potesse veramente chiamare “Vero dal vivo”. In questo viaggio musicale da Parigi a Londra a New York e altri bei posti, c'è tutta la verità di persone che si muovono, dicono, scherzano, a volte sono serie, come se Barraco fosse stato la famosa mosca sul muro che riesce a vedere le cose che, normalmente, non sono viste. È un film fatto d’indizi, anche se qualcuno mi ha detto: “Come al solito non si capisce bene che pesce sei.” In quel momento sono quel pesce là, non mi sarebbe piaciuto un film che esaurisse completamente, non il mistero che io mi porto dietro, che poi è lo stesso che abbiamo tutti noi, ma questo film apre una finestra sul mistero e lo rende visibile, evidente ma non lo risolve. Immagino non si capisce molto di quello che ho detto, ma vedendo il film si capirà.»
Ha seguito le varie fasi di montaggio, indicando cosa togliere o tenere come riprese?
«Ho visto il film già montato e, quindi non ho messo bocca, anche durante le riprese non mi sono accorto che stavano girando, lo sapevo, li vedevo, ma non me ne preoccupavo nella maniera più assoluta e ciò ha prodotto una spontaneità che nel film si ritrova e che non trovo spesso nei film di argomento musicale. Non è un film che vuole approfondire, è un film d’indizi, di tracce, d’immagini, di schegge di vita.
È un film molto geografico, c'è anche una bellissima chiacchierata tra me e un tassista napoletano di New York che, oramai non parla più napoletano. Stavo andando al concerto e gli canto implacabilmente tutta Anema e core e questo poveraccio che non riesce più a salvarsi e gliela canto veramente tutta.  Questo è il clima, c'è un’altra scena alla fine di un concerto, io avevo il raffreddore e tutti dicevano chi se ne frega del tuo catarro ed io mi arrabbio con quelli che mi stanno intorno e dico: “Tutti state parlando del catarro di mia moglie (anche lei aveva il catarro) e nessuno si preoccupa del mio catarro.”»

              
A proposito di Chicca, sua moglie, com’è nata Anema e core?
«È nata in maniera del tutto casalinga, ci siamo messi a canticchiarla insieme per un motivo abbastanza marginale, stavamo a pranzo a Napoli e non c‘era il solito posteggiatore e così ho cominciato a cantarla io e poiché mia moglie sa cantare, pian piano abbiamo cominciato a pensare di cantarla un po' più seriamente. Ci siamo comprati un piano voci con il microfono per cantarla dentro casa, c'è stata una serie di step che poi hanno prodotto questo grande divertimento, non c'è stata una pianificazione e adesso stiamo pensando in futuro di fare altre cose.»
Con quali emozioni ha vissuto questo momento insieme?
«Mi piace e mi è piaciuta farla e mi piace sempre di più. Quando ho guardato il video, ho visto mia moglie e l'aria vagamente imbarazzata che aveva mentre registrava il disco e mi ha fatto molta tenerezza, adesso, invece, va sicura come una spada. Nelle ultime esibizioni è molto più brava di me. È un progetto che ci ha coinvolto molto, da tutti i punti di vista, non ultimo quello di affrontare la canzone e la lingua napoletana che è un po' come giocare con il fuoco. Noi siamo andati in giro, prima di registrare questa canzone e, anche dopo, chiedendo a tutti i napoletani che incontravamo, conferme sulla pronuncia delle parole. “Nuie ca perdimmo ‘a pace e ‘o suonno”, però poi abbiamo tenuto come totem l'interpretazione di Roberto Murolo, la più bella di tutte. È una stranezza che volevamo fare, qualcosa che non esisteva prima, ha a che fare con l'arte contemporanea, grazie a Mimmo Paladino, da una parte un'opera d'arte, una xilografia numerata e dall'altra contiene un disco, ma di De Gregori che canta in napoletano con la moglie, siamo in una zona del non fatto ancora, del non visto ancora, del non sentito ancora. Non voglio dire che mi sono preso un rischio, rischia molto di più chi lavora in una fonderia, però sicuramente è una bellissima anomalia.»
Parliamo dei live, in Off the record come sarà approntata la scaletta, ci sarà qualche variazione di sera in sera?
«Per i concerti di Roma l’idea è di avere un nucleo centrale della scaletta composto da 20/25 brani, quelli eseguiti negli ultimi concerti e aggiungerne tre o quattro diversi per ogni sera, provandoli nel pomeriggio, lavorandoci pochissimo sopra, senza troppe sofisticatezze, perché mi eccita dare un senso d’improvvisazione alla mia musica e, oltretutto, mi permetterà di variare molto, sera per sera, quello che andremo a fare e questo tipo d’improvvisazione e di approccio alla mia musica non troppo protocollata, non troppo accademica, mi permetterà di divertirmi, qualche pezzo verrà anche male, però nessuno ci ucciderà per questo, almeno spero.» 

                       
Per Off the Record al teatro Garbatella lei si è ispirato a qualche progetto simile, tipo Springsteen…
«Dire che mi sono ispirato direttamente a lui, onestamente no, però arrivo secondo o terzo, ci sarà stata anche altra gente, ma non vedo un grosso problema, se l’ha fatto il Boss posso farlo pure io. Credo che lui lo faccia per quasi trecento sere, io mi limito solo a quattro settimane in un teatro parrocchiale. Il primo titolo che volevo dare a queste serate romane era Off Broadway, perché ignoravo che, quello di Springsteen, si chiamasse On Broadway, quando l'ho scoperto mi sono detto che non si poteva fare, sembrava una polemica contro Springsteen, lui canta per Broadway, mentre io faccio l'alternativo e non era questa la mia intenzione. Alla fine l'abbiamo chiamato Off the record e mi piace di più, perché vuol dire confidenziale, un'atmosfera domestica con poche persone. Sarà un concerto inevitabilmente dove, io stesso, non so che tipo di emotività potrò avere. É vero, ho fatto dei club nella mia carriera, questo testimonia un po' anche la mia voglia di scardinare i protocolli, sono sempre andato a cercare dimensioni un po' anomale, però un conto è un club, dove la gente e, mi piace che questo avvenga, si beve una birra e un conto è avere poche persone sedute davanti, per me è un’assoluta novità e lo sarà anche per il pubblico. Credo che nascerà sicuramente un coinvolgimento diverso fra palcoscenico e sala.»
Springsteen chiacchiera molto, lo farà anche lei?
«Non mi piace molto raccontare nulla prima di cantare una canzone e quando mi capita di andare al concerto di qualcuno che fa delle lunghe introduzioni, dopo un po' provo un brivido d’insofferenza. C'è un tempo per parlare come in un’intervista e un tempo per suonare. Springsteen fa uno storytelling, racconta la sua vita e la sua carriera attraverso un canovaccio di canzoni con una scaletta fissa, che serve per raccontare la sua vita con le parole ed è anche molto interessante, io andrei a sentirlo se stessi a New York. Personalmente non ho voglia di raccontare la mia vita attraverso le mie canzoni, io la racconto attraverso le mie canzoni cantandole, poi se certe sere mi va di essere un pochino più loquace,  ma questo dipende da chi ho davanti, dal tipo di applauso che mi fanno quando entro, cose che nascono lì per lì, comunque non sarò mai un grande parlatore, questo no.»
Parliamo, invece, della scelta della scaletta del progetto orchestrale, sarà diversa dalla Garbatella?
«Lo spettacolo si chiamerà “De Gregori & Orchestra - Greatest Hits Live”, e greatest hits è proprio una dichiarazione d’intenti, finora nei miei concerti ho sempre cercato di evitare di fare solo i grandi successi, mi sembrava un po' totalizzante. Quando faccio la scaletta di un concerto ho fondamentalmente un problema, so di avere davanti una platea, ammettiamo che sono 100, di cui settanta vogliono sicuramente sentire Generale, La donna cannone, Rimmel, Buonanotte fiorellino, Pablo e gli altri trenta non ne posso più di sentire Pablo, La donna cannone, Generale… perché magari sono stati già a dieci o quindici miei concerti e stanno lì a guardare il pelo nell'uovo, questa volta l'ha fatta così, di questa era meglio la versione di due anni fa. Questo è un problema che mi porterò appresso per tutta la mia esistenza. In questo progetto doppio, io calo l’asso prima, con la grande orchestra si sentiranno tutti, o quasi tutti, i miei grandi successi, quelli che il pubblico mi ha premiato nell'ascolto, nell'affetto di tanti anni, mentre nella parte romana il concerto residenziale, giocherò con il mio repertorio portando dentro anche canzoni che in questo momento onestamente nemmeno mi ricordo. È dichiarato, chi non sopporta più di sentire Generale, la Donna cannone etc., venga a Roma, chi invece vuole sentire Generale, La donna cannone fatte in maniera totalmente inedita e, quindi, spero un po' di curiosità l’abbiano anche quelli che non ne possono più, dovrà per forza venire a Verona, Caracalla o Taormina.»

                
Ci saranno l’orchestra di 40 elementi e gli Gnu Quartet, ma chi curerà gli arrangiamenti?
«Se ne occupa gente brava, questo è certo. Ho lavorato già con gli Gnu Quartet, splendidi musicisti con cui ho condiviso un'esperienza bellissima l'estate 2017 in uno dei concerti che Neri Marcorè ha organizzato per Risorgimarche, lui mi chiamò per fare un concerto a 1500 metri di altezza in un prato ed io gli dissi: “Vengo, però voglio fare una cosa diversa e nuova. Cerchiamo dei giovani musicisti marchigiani classici (la cosa era per sensibilizzare la gente sul terremoto delle Marche), e facciamoci accompagnare da loro.” E in quell'occasione conobbi gli Gnu Quartet, loro fecero gli arrangiamenti e gente di cui mi fido, oltretutto io non scrivo musica sul pentagramma però un orecchio lo butto e lavoriamo in collaborazione e, sono sicuro che, questa temibile del resto retorica musicale che può produrre un'orchestra gestita male non si sentirà nel nostro lavoro di quest'estate.»
Per questi due live uscirà un disco?
«Del progetto orchestrale  vorrei sicuramente fare un disco, ma per la gioia dei giornalisti e dei detrattori dirò che non sarà un disco dal vivo, ma vorrei registrare in sala quello che poi verrà fatto dal vivo, per avere un disco senza gli applausi, un disco in sala con l'orchestra in diretta, registrato possibilmente su due piste. L'idea sarebbe di non fare un missaggio del disco, ma rendere esattamente quello che è la resa orchestrale in presa in diretta e mi piacerebbe che questo disco uscisse il più presto possibile, anche durante quest'estate, e quindi non sarà un disco natalizio. Ho avuto l'idea di fare questi due progetti live un mese e mezzo fa, mi sono svegliato una mattina, come dice la canzone, e mi sono detto perché non faccio queste due cose, ma è ancora tutto molto da definire.»
Dopo tanti anni, cosa la emoziona di più quando sale sul palco o la cos che la fa andare avanti? 
«Mi emoziona il rapporto con il pubblico, lo so che è una risposta banale. È emozionante cantare, sentire la gola che si apre e si stringe, far suonare una parola una sera in una maniera diversa dalla sera prima, sentire che il basso appoggia in modo diverso. Banalmente è questo, ma non è poco, è rendere partecipe il pubblico di tutte queste micro variazioni che avvengono durante un concerto, in cui attraverso le canzoni racconto la mia vita, le mie storie e la mia visione del mondo, tutto questo contiene in sé un nocciolo forte di emozioni e di emotività e a volte anche di commozione.»