“Festa al celeste e nubile santuario” di Enzo Moscato con Cristina Donadio al San Ferdinando fino all’8 dicembre. Recensione

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“Festa al celeste e nubile santuario” di Enzo Moscato con Cristina Donadio al San Ferdinando fino all’8 dicembre. Recensione

Il Teatro San Ferdinando propone fino all’8 dicembre Festa al celeste e nubile santuario, scritto e diretto da Enzo Moscato con Cristina Donadio, Lalla Esposito, Anita Mosca, Giuseppe Affinito.

Composto nel 1983, è uno dei testi più rappresentativi di Moscato, dedicato all’amico drammaturgo prematuramente scomparso Annibale Ruccello.

In un vicolo di Napoli, un basso ospita tre sorelle nubili che vivono un’esistenza monotona e squallida, riscattata dal culto per la Vergine Immacolata che determina una rigidissima condotta etico-sessuale.

I rapporti tra le tre sorelle sono gerarchici. Il comando assoluto spetta di diritto alla primogenita Elisabetta (Lalla Esposito) che custodisce la virtù delle sorelle e pretende obbedienza incondizionata ai dogmi e ai ministri della Chiesa. La secondogenita Annina (Cristina Donadio) è convinta di vedere e di parlare con lo Spirito Santo, di ricevere messaggi dalla Madonna e di ascoltare una voce che profetizza un Sacro Evento che sta per compiersi. La terzogenita Maria (Anita Mosca) è muta e totalmente priva di potere ma è l’oggetto del miracolo scelto dal Divino.

Ma ecco che Elisabetta perde la vista, indispensabile mezzo del suo controllo sulle sorelle e Maria si trasfigura nella Vergine attraverso una gravidanza apparentemente inspiegabile .

L’epilogo è imprevedibile e sarà la stessa Maria a svelarne il perverso meccanismo, miracolosamente tornata in possesso della voce. Annina è stata quella che ha tramato un diabolico disegno che vede la comparsa sulla scene di Toritore (Giuseppe Affinito), inconsapevole pedina nelle sue mani.

La drammaturgia di Moscato, altissima per linguaggio e ricerca antropologica sulla condizione della donna nella cultura magico-religiosa del popolo meridionale, si dispiega in tutta la sua potenza evocativa e tribale in questo testo che mette in evidenza la solitudine spirituale e materiale delle tre sorelle protagoniste e la loro condizione “isterica” che assume qui le sue forme più tipiche:mutismo,cecità e falsa gravidanza.

In questo basso angusto e maleodorante ,”Nire, affummecate… addò ‘a stagione nun se rispira p’‘o calore e ‘a vvierno ‘o friddo fa sbattere ‘e diente… Addò nun ce sta luce manco a mieziuorno…”, le sorelle si aggirano cantando melodie mariane che fanno da contrappunto alla loro attività di zarallare.

Una statua della Madonna, a grandezza naturale, è posta al centro della scena, un letto matrimoniale, una porta, un armadio senza ante, un banchetto con i pochi oggetti da vendere, un tavolino, due sedie…

Annina è una Sibilla Cumana, una Pizia, pronta a inveire e a profetizzare eventi straordinari, inconcepibili e grandiosi nella loro scarsa compiutezza e veridicità.

Elisabetta con il suo eroico furore e il suo zelo, ammonisce, ordina, controlla.

Sentiamo quasi il suono dei sistri dei culti riservati a Iside, in una Napoli viscerale, lacerata e bagnata da sangue di mestruo. Il bisogno di protendersi verso figure accettate e venerate dalla religiosità popolare le rende le Vestali della Immacolata Vergine “Madre,Figlia del tuo Figlio…” e custodi dei suoi dogmi di fede.

Ma il sentimento religioso è bigotto, sterile e Padre Pasquale si tiene alla larga dal basso delle tre sorelle quando maturano gli eventi. L’unico uomo con il quale hanno un rapporto per ottemperare al precetto della carità cristiana è Toritore, ‘o scemo del vicolo al quale si può dare il piatto di pasta e cavulusciore, avanzato la sera prima e non la fetta di pastiera nascosta da Elisabetta nell’armadio…

L’interpretazione di tali e potenti personaggi evocativi e mistici,complessi e sfaccettati si compie appieno grazie le capacità attoriali delle tre attrici che sono “immerse “ in una atmosfera che richiama il gotico-noir della migliore tradizione.

Ciascuna di esse ha saputo coglierne l’anima, i tormenti, i desideri esprimendoli nel linguaggio napoletano ricco di musicalità squisitamente teatrale e privo di filtri e accomodamenti.

Moscato, a ragione, non si preoccupa della sua comprensione da parte del pubblico. É così e basta e noi siamo convinti che i suoi personaggi non potrebbero parlare un idioma diverso dalla “lingua” napoletana.

Lo stesso Moscato spiega, in un’intervista rilasciata a Virginia Maresca per il mensile Proscenio che «Napoli io la intendo come un cosmo e non una città, un universo che si può vedere in maniera multipla, plurale, antropomorfica, una cultura estremamente vasta, profonda, mobile, dialettica e questo è il compito a cui sembra che io sia stato destinato».

Le luci sono di Cesare Accetta, le musiche di Claudio Romano, le scene di Clelio Affinito, i costumi di Daniela Salernitano.

Produzione Teatro Stabile di Napoli-Teatro Nazionale Compagnia Enzo Moscato/casa del Contemporaneo

Forti, calorosi e meritatissimi applausi alla prima.