“1861 – La Brutale Verità” al teatro Augusteo di Napoli - Intervista al regista e scrittore  Michele Carilli 

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 “1861 – La Brutale Verità” al teatro Augusteo di Napoli - Intervista al regista e scrittore  Michele Carilli 

Da venerdì 5 ottobre fino a domenica 7 sarà in scena al teatro Augusteo di Napoli “1861 La brutale verità”, uno spettacolo di teatro-canzone tratto dal libro “La brutale verità” di Michele Carilli.
L’incontro tra il gruppo Mattanza, ricercatori della cultura, della storia, delle tradizioni popolari del Mezzogiorno e Michele Carilli hanno dato vita a questo spettacolo di grande interesse culturale che ha vinto diversi premi per l’ottima regia, per l’aver combinato musica e recitazione e per la chiarificazione sull’unità d’Italia e sul quel famoso Risorgimento su cui non si sono dette molte verità.
Gli attori della compagnia CarMa di Reggio Calabria in scena saranno Lorenzo Praticò e Gabriele Profazio (narratori), la cantante Marinella Rodà (voce e percussioni), i musicisti Mario Lo Cascio (chitarra e percussioni) e Alessandro Calcaramo (chitarra e bouzouki), per la regia di Michele Carilli e di Lorenzo Praticò.
Michele Carilli, laureato in scienze politiche e delle relazioni internazionali, vive e lavora a Reggio Calabria. È  stato per circa vent’anni attore e regista della compagnia teatrale “I Nuovi Giullari”. Negli ultimi anni si è dedicato allo studio approfondito sul periodo risorgimentale e nel 2012 pubblica il libro “La brutale Verità”, da cui è tratto lo spettacolo teatrale “1861”, libro e spettacolo che ancora oggi ricevono numerosi premi.

Come e perché è nato questo spettacolo? Qual è stata la vostra esigenza?
«Lo spettacolo nasce dal mio incontro, nel 2013, con Mimmo Martino (leader del gruppo musicale “MATTANZA”). Avevo appena pubblicato il libro “La Brutale verità”. La tematica sull’annessione del Regno delle due Sicilie al Regno di Sardegna era già stata affrontata dai Mattanza in vari pezzi del loro repertorio. Venendo dal mondo del teatro, essendo stato attore e regista per 20 anni della compagnia teatrale “I Nuovi Giullari”, conoscevo bene la forza del teatro e della musica nella divulgazione di una tematica. Fu naturale, quindi, per me pensare a una trasposizione teatrale del libro, nella forma del teatro-canzone, usando proprio alcuni brani del repertorio Mattanza (alcuni assolutamente originali, altri della tradizione popolare abilmente riarrangiati), convinto che questo sarebbe stato lo strumento migliore per far arrivare alla gente quella che io nel libro indicavo come la brutale verità. Mimmo Martino accettò con entusiasmo il progetto e i fatti, da lì a poco, ci diedero ragione.»
Qual è questa Brutale Verità?
«La brutale verità è quella ancora oggi occultata ai più. Quella che non trova spazio nei libri di scuola e che la nostra associazione, attraverso questo spettacolo, tenta in tutti modi di far arrivare alla gente. Questo perché, finalmente, nel nostro paese si possa arrivare a un’unità vera fatta di culture e storie condivise, cosa che ancora oggi, purtroppo, non c’è.
La brutale verità è venire a conoscenza che subito dopo l’unità d’Italia, il nuovo regno d’Italia, nei dieci anni successivi, impegnò nel Mezzogiorno una forza militare d’occupazione di circa 100.000 soldati, impiegata nella “lotta al brigantaggio”. In realtà, tale spiegamento di uomini, servì a domare una drammatica insurrezione delle masse popolari che procurò uno spaventoso numero di morti e decine di paesi incendiati e rasi al suolo. La storiografia “ufficiale” ha, purtroppo, occultato per troppo tempo le reali dimensioni e le motivazioni sociali delle insorgenze meridionali. Questo brigantaggio meridionale assume oggi la più importante fisionomia di un movimento di resistenza sociale al modello autoritario sabaudo. Tali vicende non mettono certo in discussione il fondamentale valore dell’Unità Nazionale; i padri della patria, però, vanno giudicati anche sui piedistalli, dove la retorica risorgimentale li ha collocati. Quella tra piemontesi e briganti è stata una guerra civile raccontata poi solo dai vincitori e così il brigantaggio postunitario è divenuto una tragedia senza narrazione, una storia che andava dimenticata. Non si vuole denigrare il risorgimento, tutt’altro, è necessario, però, che lo si veda sotto una luce più obiettiva, completo in tutte le sue pagine, anche quelle che non fanno onore al nostro paese.»

         
I libri di storia a scuola falsano la verità, quanto il suo libro mette in luce e chiarisce cose che sono successe in quegli anni?
«Il mio libro riporta integralmente documenti e pubblicazioni che videro la luce negli anni immediatamente successivi al 1861. Molto si basa su un libro che è considerato da tutti un’opera monumentale e tuttora fondamentale sul brigantaggio dopo l’unità d’Italia: Storia del Brigantaggio di Franco Molfese. È un libro che richiede grande fatica nella lettura; ma chi vuol capire cosa veramente è accaduto in Italia nel decennio 1860-1870, non può fare a meno di leggerlo. Sono riportati e sintetizzati i numerosi dibattiti che si tennero in quegli anni nel parlamento italiano sulla questione del brigantaggio, sono spiegate le ragioni per le quali agli spontanei movimenti contadini andarono pian piano a sovrapporsi le ragioni dei borbonici e degli ambienti clericali, sono riportati dettagliatamente i moltissimi episodi della guerriglia contadina che i Briganti combatterono in tutto il Sud. È un saggio che ha voluto far luce su alcuni aspetti mai chiariti del Risorgimento italiano e che vuole dimostrare come l’unità è stata attuata a scapito della popolazione meridionale.
La domanda da porsi è come mai quanto asserito da Molfese nel suo libro, a distanza di più di 50 anni dalla sua pubblicazione, pur condiviso da tutti gli storici, non abbia mai trovato spazio nei testi scolastici?»
È uno spettacolo che può essere indicativo per i ragazzi?
«Assolutamente sì. I ragazzi, tra l’altro, sono naturalmente portati a costruirsi un’idea propria e personale su tutti gli avvenimenti. Far conoscere loro che esiste un’altra verità, su un determinato periodo storico, li incuriosisce ulteriormente, li stimola a documentarsi e a non prendere sempre per oro colato ciò che viene loro proposto.
Fin dalla nascita di questo progetto teatrale la speranza era, ed è ancora, quella di infondere in tutti, in particolar modo nei giovani, l’orgoglio di essere italiani del meridione, la fierezza di essere appartenuti al Regno delle Due Sicilie e la voglia di riacquistare l’identità perduta.»
Nello spettacolo si parla anche del fenomeno del brigantaggio, chi sono quelli considerati eroi? Quali sono i loro nomi e quali le loro gesta?
«Il Brigantaggio fu un grande movimento rivoluzionario, di massa, che si oppose strenuamente a quella che possiamo definire una vera e propria invasione da parte del Regno di Sardegna. Quelli che, in altre circostanze e se la storia non l’avessero scritta i vincitori, furono offensivamente definiti delinquenti e marchiati per sempre col nome di briganti, furono invece dei veri e propri “resistenti”, dei partigiani, che difendevano la loro patria, la loro terra, la loro gente, il loro Re Borbone e la Chiesa cattolica. Con la nostra rappresentazione dei fatti così come realmente avvenuti, noi tentiamo di restituire loro la dignità perduta. 

Furono tante le figure dei briganti che godevano dell’appoggio della popolazione e che poi passarono alla storia, ricordiamo  Luigi Alonzi, Nicola Somma (detto NincoNanco), il “sergente” Pasquale Romano e “il generale dei briganti” Carmine Crocco, la figura di brigante post–unitario più popolare e sulla quale sono stati redatti un gran numero di saggi e approfondimenti. Molti non sanno che si arruolò anche tra le fila dei garibaldini, partecipando anche alla famosa battaglia sul Volturno ma deluso dalle mancate promesse di Garibaldi, decise di appoggiare la causa borbonica: si erse a paladino dei più deboli e dei poveri e cominciò ad arruolare proseliti, organizzando una sua banda che arrivò a essere composta da circa 3000 uomini. Non tutti i briganti del tempo si contraddistinsero per aver compiuto grandi imprese, anzi molti di loro, poco più che ragazzi, finirono i loro giorni in prigionia o addirittura furono fucilati senza alcun processo. Vissero un eroismo fatto di gesti semplici, concreti, compiendo il proprio dovere e combattendo fino in fondo per la causa in cui credevano, coscienti che questo avrebbe potuto significare anche la morte.
Un altro volto del brigantaggio, meno conosciuto, è quello delle brigantesse. Molte di loro, abbracciarono la tipica vita da brigante in modo inconsapevole senza neanche comprendere bene da che parte stesse il bene o il male. La loro decisione non era supportata da alcuna ideologia, ma solo il frutto della disperazione e della misera condizione in cui erano costretti a vivere. Tale stato di cose spiega come per le donne la condivisione del brigantaggio sia stata una necessità e una scelta, non sempre consapevole, di libertà e di rivendicazione inconscia del loro ruolo in seno a una società che le costringeva a vivere da essere inferiore.»

                             
                                      Carmine Crocco detto "Il Generale dei briganti"

Ci sarà anche Garibaldi in questo spettacolo… come sarà rappresentato? Falso eroe o vero pirata?
«Sì è vero, ci sarà Garibaldi. È una figura, per tanti aspetti, molto complessa che merita di essere adeguatamente approfondita e non superficialmente giudicata come purtroppo negli ultimi tempi sta avvenendo. Ultimamente si è assistito a un vero e proprio gioco al massacro nei suoi confronti. Noi abbiamo deciso, nel nostro spettacolo, di non esprimere giudizi di parte, di non preconfezionare nulla, di lasciare allo spettatore il compito di trarre le proprie conclusioni. Ci limitiamo a narrare gli avvenimenti, a raccontare dei fatti incontrovertibili e debitamente documentati, non ci interessa sapere se l’eroe dei due mondi portasse i capelli lunghi per nascondere l’orecchio mozzato. È invece storicamente provato che la spedizione dei Mille sia stata sovvenzionata e protetta dagli inglesi per l’interesse di questi nei confronti delle zolfare siciliane. È storia che Garibaldi stesso riconobbe le sconcezze che il nuovo stato stava attuando nel sud, si legge nella sua lettera ad Adelaide Cairoli: “Gli oltraggi subiti dalle popolazioni meridionali sono incommensurabili. Ho la coscienza di non aver fatto del male. Nonostante ciò, non rifarei la via dell’Italia Meridionale, temendo di essere preso a sassate, essendosi là cagionato solo squallore e suscitato solo odio”.
Sono un dato di fatto anche le sue dimissioni da deputato, proprio in segno di protesta per le politiche adottate nei confronti del meridione (prima fra tutti la mancata attuazione della riforma agraria), così come la scelta del figlio, Ricciotti, di abbracciare la causa dei briganti.
Viene fuori sicuramente una figura diversa da quella finora tramandata dall’agiografia risorgimentale, una figura che va fatta scendere dal piedistallo dove è stata collocata e giudicata per i fatti che l’hanno vista protagonista.»
Le canzoni dello spettacolo sono scritte dai Mattanza. Si sono basati sul suo libro o sono state introdotte le loro canzoni denunce e di cosa parlano?
«Come detto prima, esiste un repertorio Mattanza sulla tematica ancor prima della scrittura del mio libro. Molti brani si prestavano a essere inseriti nella narrazione, come “U spagnu di burbuni” (Garibaldi fu definito lo “spavento dei Borboni”), un brano che ironizza sulla facilità con la quale fu attuata la spedizione dei Mille, o “Nebbia a la valle”, canzone che tratta il tema dell’emigrazione, fenomeno sconosciuto in queste terre prima del 1860. Un discorso particolare merita una canzone tradizionale come “Vitti a na crozza”, brano arrivato a noi come un’allegra ballata (con un “tirullalleru” assolutamente fuorviante) che nell’arrangiamento proposto da Mimmo Martino e i Mattanza riacquista il suo significato originale di canzone che narra proprio la storia di un brigante al quale fu tagliata la testa (quella che poi sarà definita crozza/teschio) e appesa al torrione (cannone, in dialetto siciliano) di un palazzo senza riservargli neanche il più elementare dei diritti, quello di una degna sepoltura.»
Questo spettacolo sarà portato in giro per l’Italia e se c'è l'intenzione di proporlo anche alle scuole?
«Lo spettacolo da qualche tempo ormai partecipa ai più importanti concorsi nazionali in tutta Italia e vanta nel suo palmares 14 riconoscimenti. È nostra intenzione continuare a proporlo nei vari teatri proprio per il grande riscontro che ogni volta si ottiene. È in attuazione anche un progetto che interessa alcune località all’estero. Per ciò che riguarda le scuole, diverse repliche sono state effettuate in molti istituti scolastici, soprattutto della nostra regione. I risultati sono stati sempre entusiasmanti, i ragazzi apprezzano molto sia la tematica sia il modo con la quale viene proposta. Prova ne è che nel maggio scorso, al premio nazionale “La Guglia d’Oro” svoltosi ad Agugliano (Ancona), lo spettacolo oltre ad aver vinto il premio della critica, quello del gradimento del pubblico e quello riservato alla miglior attrice protagonista, si è aggiudicato il premio “Giovani a teatro”, assegnato proprio da una giuria composta di soli giovani, che ha voluto premiare l’originalità con la quale è stata proposta l’annosa questione meridionale. Questo dimostra che la forma scelta per arrivare a interessare anche il pubblico giovanile si è rivelata essere quella giusta.»

                      

                                                   La Brutale Verità -copertina del libro