Rudolf Nureyev ovvero Il Corvo Bianco, al cinema. Recensione

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Il grande ballerino russo Rudolf Nureyev continua a danzare con le ali ai piedi incarnandosi nel corpo e nelle movenze di Oleg Ivenko nel film Il corvo bianco per la regia di Ralph Fiennes.

La pellicola si ispira al libro di Julie Kavanagh dal titolo Rudolf Nureyev: The life e si avvale della sceneggiatura di David Hare (The hours-The reader).

Il film, uscito nelle nostre sale il 27 giugno, sta riscuotendo successo di pubblico e critica per diverse ragioni. Innanzitutto, è un bel film che ricostruisce in modo veritiero il clima della cosiddetta “cortina di ferro “ tra l’URSS e i Paesi occidentali, la scelta non facile ma azzeccata del protagonista, il coraggio di raccontare un mito del balletto di tutti i tempi, il privilegiare la crescita umana e professionale di un ballerino e coreografo che rivoluzionò i ruoli maschili nella danza classica aprendola a quella moderna.

Il regista si concentra sugli anni della formazione del grande ballerino tartaro fino alla richiesta di asilo politico in Francia avvenuta nel 1961, in occasione del primo tour internazionale di Nureyev con la compagnia di balletto Kirov di Leningrado.

Ralph Fiennes si riserva nel film il ruolo di Alexander Pushkin suo grande maestro di danza e di vita. Nel film abbondano i primi piani del viso del protagonista molto somigliante a Nureyev per lo sguardo cristallino e fiero e per la fisicità possente ma leggiadra nelle scene di ballo. Infatti, non bisogna dimenticare che Oleg Ivenko, classe 1996, è primo ballerino della prestigiosa Compagnia Tartar State Ballet.

Il privilegiare il bianco e il nero nel raccontare l’infanzia di Nureyev raffigura bene i luoghi, la povertà della famiglia ed i rapporti non facili con il padre. L’uso del colore rende ancora più affascinante la Parigi che si offre agli occhi di Rudi attraverso la sua ricerca inesauribile del bello e di tutto ciò che può spingerlo a diventare migliore a partire dalla frequentazione di amici francesi che hanno un ruolo determinante nella realizzazione del suo ambizioso sogno: diventare una stella della danza.

Tuttavia, nel film mancano la tensione e la passione che Nureyev sapeva trasmettere al pubblico coinvolgendolo nelle sue esibizioni che lo hanno reso una leggenda della danza mondiale. Un maggiore coinvolgimento emotivo lo spettatore lo prova quando il ballerino ha soltanto 45 minuti di tempo per scegliere se tornare in Russia o tradire il suo Paese per rincorrere il sogno di diventare un’ètoile di fama internazionale. Conoscere a priori la sua scelta non sminuisce il pathos della scena.

Il film è ambizioso, ricercato, accurato e tutto sommato soddisfacente, ma la prorompente personalità di Nureyev non può essere contenuta e imbrigliata in un film della durata di 127 minuti. Quella consapevolezza di essere già un mito e un’icona di stile, quel suo fascino perverso, quella sua indole disobbediente e fiera e quel suo sguardo algido, bisogna sentirli a pelle e suscitano una nostalgia straziante, soprattutto in coloro che lo hanno visto ballare in un San Carlo gremito in ogni ordine di posti e illuminato a giorno dagli sguardi penetranti di un pubblico addomesticato e incantato.