Pippo Mezzapesa parla del suo ultimo film "Il Bene Mio". Intervista

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Pippo Mezzapesa parla del suo ultimo film "Il Bene Mio". Intervista

Foto di Nicola Garofano

Regista, sceneggiatore e produttore, Pippo Mezzapesa, 38 anni, di Bitonto, dopo vari corti e alcuni film arriva al successo al cinema con “Il paese delle spose infelici”  e  quest’ultimo “Il Bene Mio”. presentato a Venezia, qualche mese fa, alla 15° edizione delle Giornate degli Autori di Venezia, e, poi straordinariamente al Cinema Paradiso di Amatrice, comune distrutto dal terremoto come il paese fantasma Provvidenza, protagonista della pellicola di Pippo Mezzapesa, in cui vive un ultime superstite, Elia, custode dei ricordi di una comunità perduta. Abbiamo intervistato Pippo Mezzapesa in occasione delle Giornate Professionali di Cinema a Sorrento.
“Il Bene Mio” come nasce questa storia così particolare?            
«Il Bene Mio nasce da una passione profonda che ho per i luoghi marginali, traditi, e cosa c’è di più tradito di un paese fantasma, abbandonato dalla propria comunità dopo un terremoto che l’ha distrutto. Nasce anche dalla passione che ho per i personaggi marginali e per gli ultimi rimasti, ho coniugato la voglia di raccontare questi due elementi ed è nata la storia di Elia, l’ultimo abitante di Provvidenza, una sorte di custode della memoria. Un personaggio che contrariamente al resto della comunità è convinto che non ci possa essere un futuro e un presente disperdendo il passato.»
L’idea del film nasce addirittura da una canzone?
«No, il titolo è ispirato a una canzone. Molto complesso è trovare i luoghi nei film, ancor di più è trovarne i titoli, che dovrebbero condensare un po’ tutto e dopo vari titoli che ci sono stati in corso d’opera, è riemersa alla memoria questa canzone di Matteo Salvatore, un cantore del foggiano, di Apricena. E, Lu Bene Mio parla di una fuita, della nascita di un amore tra due ragazzi e mi è sembrato bello dare il titolo di una canzone, che parla della nascita di un amore, a un film che parla di un’interruzione dell’amore di Elia nei confronti della moglie, ma anche di una comunità nei confronti del proprio paese».
Il film è stato girato ad Apice, in provincia di Benevento, e Gravina di Puglia. Come sono state scelte queste due location?
«È molto difficile scegliere una location e, soprattutto, quando si passano mesi,  anche anni, a sviluppare un progetto e a scrivere una sceneggiatura. Si vivono, si respirano e ci si muove in luoghi che potrebbero anche non esistere, sono posti inventati, quindi, la scelta delle location è sempre molto lunga e particolare, anche perché ci tengo molto a scegliere i luoghi in generale. Ho visitato, praticamente, tutti i paesi abbandonati da Roma in giù e ce ne sono tanti, alcuni di una bellezza struggente e alla fine ho trovato Apice, un miracolo perché è stato come aver ritrovato quello che avevamo scritto nella sceneggiatura, le strade, la chiesa, tutti i singoli luoghi, ma soprattutto la magia che avevamo immaginato, anche perché i luoghi abbandonati hanno un’anima e una voce molto particolare, quindi, mi ha restituito ciò. Abbiamo girato tra Apice e Gravina di Puglia. Apice è un paese completamente inagibile abbiamo potuto girare solo gli esterni, mentre abbiamo recuperato degli altri ambienti a Gravina.»

                        

Hai conosciuto un personaggio come Elia?
«Il personaggio è nato spontaneamente, non è ispirato a qualcuno realmente vivente, ma nelle ricerche della location ho trovato diversi ultimi rimasti che sono dei baluardi di questi paesi. Ce n’è uno a Roscigno nel Cilento, un ultimo barbiere nella stessa Apice, che vive a ridosso del paese. Parlando con ognuno di loro ho ritrovato degli aspetti di Elia, così da arricchirne il personaggio di alcuni elementi che sono tutti molto diversi dall’altro, diciamo che non avevano gli stessi stimoli del mio personaggio, ma solo alcuni aspetti in comune».
Quanto di te c’è in questo personaggio e in questa storia?
«C’è di me la convinzione che l’elaborazione del dolore in  generale, del lutto non si possa affrontare da soli. Elia pur rimanendo solo, in realtà è un personaggio che vuole esorcizzare il lutto ricreando un’idea di comunità e, quindi, rifacendosi comunità e ricreando un gruppo forte, questo ho in comune con il personaggio di questo film, la convinzione che non si può vincere da soli in generale.»
Il personaggio di Elia è stato interpretato da un grande Sergio Rubini. Com’è stato dirigerlo sul set?
«Rubini è stato Elia dal primo momento, in cui ho scritto il film, praticamente è stato scritto su di lui. È un privilegio riuscire a lavorare con l’attore su cui hai pensato e su cui hai scritto il personaggio non capita spesso. Sul set c’è stato un continuo confronto tra di noi per creare un personaggio che doveva essere un eremita atipico e non triste, un eremita che rifugge alla vita, ma un personaggio che avesse una forza, una solarità, una gioia di vivere e rivolesse la vita intorno a sé. Rubini è stato l’attore ideale per me e il nostro lavoro è stato in funzione di questo».

                   
Hai avuto critiche particolari dal pubblico o dalla critica che ti sono piaciute o hai odiato?
«Ci si mette a nudo quando si racconta una storia, quando si fa un film, quindi ci sono persone che hanno veramente amato il film. Le critiche sono state molto positive in generale, c’è anche gente cui non è piaciuto, non si può piacere a tutti. La reazione del pubblico, da Venezia in poi, è stata sempre molto calorosa e positiva. Sono stato molto soddisfatto di una presentazione in particolare, quella ad Amatrice, perché l’anteprima nazionale, dopo Venezia, è stata fatta lì, che mi ha fatto tremare le gambe. Portare un film del genere a una comunità che sanguina ancora, non è stato semplice, però, mi sono trovato di fronte a quella che in fondo ho raccontato, una comunità che non vuole dissolversi, ancora capace di emozionarsi insieme davanti a un film e poi c’è stato un abbraccio, c’è stata un’accoglienza davvero inaspettata.»
In questo periodo stai scrivendo una nuova sceneggiatura? C’è qualche altro progetto in cantiere?
«Per il momento sto facendo promozione ancora del film, che sono come i figli, soprattutto all’inizio vanno seguiti, accompagnati, curati, ma sto anche sviluppando un altro progetto a breve con la stessa casa di produzione.»