Moschettieri del re - La penultima missione. Intervista a Giovanni Veronesi

- di

È il film più atteso di fine anno i “Moschettieri del re - La penultima missione” diretto da Giovanni Veronesi che sarà nelle sale da domani 27 dicembre 2018.
I moschettieri, oramai ritiratosi a vita privata e un po’ in là con gli anni, tornano in servizio perché chiamati dalla regina Anna, interpretata da Margherita Buy, per salvare il Re Luigi XIV e sono, nei panni di D'Artagnan, Pierfrancesco Favino, Portos è Valerio Mastandrea, Aramis è Sergio Rubini e Athos è Rocco Papaleo
Che tipo di Moschettieri vedremo e perché un film sui Moschettieri?
«I moschettieri sono dei supereroi dell’epoca ed erano trattati come dei James Bond e li abbiamo trattati così, ma, soprattutto perché penso di avere nella testa una specie di macchina del tempo, quindi, con la fantasia riesco ad andare un po' ovunque. Penso a me quando ero bambino che cosa mi piaceva e ho voluto raccontare, con una sorta di linea fantastica, questo momento della vita di quattro moschettieri supereroi un po' invecchiati, quindi, c’è quello che gli fa male l'epicondilite perché non riesce più a dare di scherma, uno soffre di mal di schiena o l'altro ha le emorroidi e andare a cavallo e fare tutto quello che fanno i supereroi, è difficile.»

                                
Un po’ malandati questi Moschettieri…
«Nel film c'è anche un aspetto diverso dei moschettieri, perché non sempre stanno con una spada in mano, come si vedono negli altri il film, perché, una cosa che sanno in pochi, però è evidente nel nome, che i moschettieri non erano famosi perché davano di spada, ma perché tiravano bene con il moschetto e da lì moschettieri. Avevano un moschetto speciale, a canna lunga, e riuscivano a prendere il bersaglio da più di 100 metri.
Malandati perché avevano anche tutto un armamentario da portarsi dietro che è faticosissimo, insomma una vita di m**** quella dei moschettieri.» 
Ci sono state delle difficoltà durante le riprese?
«La scena più faticosa di tutto il film, anche per me che tenevo la macchina sulle spalle, ma soprattutto per gli attori, perché il posto dove facevano il duello, Papaleo e Favino, aveva un’inclinazione abbastanza pendente, sotto a un castello in Basilicata. Rocco è cascato cinque o sei volte, una volta anche da un mezzo dirupo, però ha fatto quasi tutto lui, senza stunt. Guardandoli  mi chiedevo come avessero fatto a imparare a dare di scherma così bene e così in poco tempo, senza sapere neanche accendersi una sigaretta fino a tre giorni prima. Anche Mastandrea, che non l’avresti mai immaginato con una spada in mano, era addirittura raffinato nel tocco con la spada ed io lo guardavo e gli dicevo: “Certo sei veramente una m****. Sai fare tante cose e poi non ne fai una nella vita.” E lui biascicando mi rispondeva: “Al bisogno tiro fuori il talento.”»

                         
                              Foto Tullio Deorsola

Dov’è stato girato il film?
«Abbiamo girato quasi tutto il film in Basilicata e poi al Palazzo Reale a Genova. La Basilicata è una cartolina vivente con dei posti bellissimi dove girare, per cui non abbiamo fatto tanto sforzo per trovare bei posti. È stato un film difficile da fare, soprattutto in Basilicata, perché come ti giravi c’era una pala eolica e, quindi, abbiamo dovuto cancellarle, praticamente pale eoliche dappertutto. A un certo punto ho cancellato anche il fonico in una ripresa che si era messo in mezzo, c’erano lui e la pala eolica. »
Quanto gli attori hanno apportato ai personaggi da te immaginati?
«Tantissimo, tutti hanno dato il loro contributo, quando fai un film comico, divertente come questo, gli attori sono fondamentali, la risata è un’emozione che o la senti o non la senti, o scaturisce subito sennò le risate che rimangono dentro, sono delle cose clamorosamente bestiali per uno che fa questo mestiere. Loro hanno aggiunto tantissimo, Favino si è inventato un modo di parlare strano, mezzo francese, che poi è giustificato alla fine. Gli attori sono stati fondamentali nel film, infatti, ho aspettato così tanto tempo a farlo, perché volevo trovare quattro personaggi giusti che si potessero amalgamare tra di loro ed essere credibili. Non è una farsa, è un film dove tutta la cornice è vera, lo sforzo produttivo, infatti, è quello. In Italia, di solito, non si fanno questi film o si fanno le farse oppure cercare di ricostruire un Seicento vero, con la sporcizia del Seicento, con i costumi sgualciti che veramente dessero l'impressione di essere stati usati e non come i soliti costumi che si vedono nelle fiction o in altri film che si capisce che sono stati tolti dalla gruccia e messi addosso all'attore. Indipendentemente da tutto, dalla storia che volevo raccontare, la cornice e l’equipe che mi ha seguito erano fondamentali, primi fra tutti gli attori.»

                            
                             Foto Tullio Deorsola

In questo film c’è anche Matilde Gioli che interpreta Olimpia l’ancella della regina, interpretata da Margherita Buy…
«Matilde ha degli incontri molto carnali e fisici con D’Artagnan, per nulla romantici, a un certo punto anche contesa tra Favino e Papaleo. Una cosa molto divertente, che andava oltre il film, che, finite le riprese, la Buy continuava a essere la regina e Matilde l’ancella la comandava spesso: prendimi quello, prendimi questo…
E nel film Matilde ha delle scene a cavallo molto particolari e difficili, ma lei è completamente pazza, furiosa, un’incosciente totale, qualsiasi cavallo gli dessero, lei ci voleva andare al galoppo a duemila all’ora. Siccome i cavalli che davano, erano molto belli, ma erano abbastanza agitati, io gli proibivo di fare determinate cose. Un giorno mi ha guardato con gli occhi iniettati di sangue e mi ha detto:”Se tu non mi fai fare questa cavalcata, ti ammazzo!” “Guarda, morire così, per il cinema, non me ne frega un tubo, se vuoi morire, monta sul cavallo e vai.” E lei ha montato e via.» 
Penultima missione? Ci sarà, quindi, un seguito?
«Con questo film, mi sono reso conto, per quanto riguarda l'ultima parte della mia carriera che sta iniziando, che farò tutti i film di fantasia. Credo che mi piacciano più della realtà e, quindi, per essere un autore, a tutto tondo, del tempo che vivo, voglio scappare e con la fantasia vado dove voglio.»