"Dei" è il film di Cosimo Terlizzi. Intervista

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"Dei" è il film di Cosimo Terlizzi prodotto da Riccardo Scamarcio, Viola Prestieri e Valeria Golino distribuito dalla Europictures nel quale Martino, un ragazzo cresciuto in campagna, è in conflitto con la famiglia e si sposterà verso la città cercando rifugio in un gruppo di ragazzi rimanendo in lui una grande malinconia. 

Il cast del film si compone di Luigi Catani, Andrea Arcangeli, Martina Catalfamo, Angela Curri, Andrea Renzi, Andrea Piccirillo, Matthieu Dessertine, Carla De Girolamo e Fausto Morciano.

Cosimo Terlizzi ci ha presentato il film e si è raccontato alle nostre pagine.

Partiamo dal messaggio che hai voluto lanciare con il tuo film Dei...

«Se ci si vuole emancipare, bisogna comunque spostarsi da un punto all'altro rinunciando a qualcosa di grosso. La questione relativa all'albero di ulivo nel giardino della casa del protagonista è centrale. Nel momento in cui tu esisti al mondo, devi sacrificare qualcosa. È una questione propria del mondo umano, ma anche vegetale e animale. Il film tratta anche del concetto di lasciare la famiglia, dell'antagonismo con il padre e del rapporto conflittuale con la madre. Il dover rinunciare a qualcosa se si vuole crescere e trovare se stessi».

Hai parlato del rapporto con la madre. Della mamma, per 45 minuti, non si vede il volto, questo è per sottolineare il rapporto conflittuale con la madre?

«Sì, il protagonista ha un problema con la mamma, perché è complice involontario delle escursioni notturne del padre, lui però non ne è contento, ma non trova le parole per dire la verità alla mamma. La mamma è in ombra, perché non la si vuole affrontare. Inoltre, un altro aspetto che ho voluto evidenziare, è l'essere tutti sempre soli, quindi, stravolgere un po' l'idea di famiglia. Ormai sappiamo che la famiglia non è sempre il covo idilliaco, ma può essere la distruzione dell'uomo, infatti, ogni elemento del film è solo dalla nonna allo zio e al cugino. Ho voluto abbandonare alcuni stereotipi, cercando di dare al film un altro tipo di tensione ed è stata proprio questa la difficoltà».

Parliamo de rapporto con il padre. In una scena del film si vede padre e figlio soli, a tavola, mentre mangiano e guardano un film in tv. In una scena del film si sente “Vai Antonio, molla tutto e scappa” . Questa frase che si sente è voluta, quell'Antonio può essere Martino che, poi, effettivamente, molla tutto e scappa dagli amici a Bari?

«Hai notato dei dettagli pazzeschi (ride), sei stato li attento a guardare (ride). L'ambizione di un autore è sperare che lo spettatore riesca a cogliere qualche spunto di riflessione, per poi seguire la sua strada, perché io non seguo solo una direzione, cerco di andare su più strati e questa è la difficoltà di realizzare un film fatto bene nell'industria del cinema, realizzare un prodotto che vada in profondità ed è stato difficilissimo. Se tu hai colto questa cosa, a me fa piacere, perché è una di quelle cose sottilissime che ho lanciato dicendomi “chissà se qualcuno riuscirà a coglierle?” (ride). Perché nell'insieme della storia, il film appare molto semplice, invece, la sofisticazione è all'interno del film, in cui c'è anche la mia esperienza vissuta con mio padre, qualcosa di autobiografico».

Il film è incentrato sul concetto dell'essere Apollineo e Dionisiaco, che è alla base della filosofia di Nietzsche che, a partire dalla spiegazione del professore durante una lezione all'università, si ritrova per tutto il film in alcuni personaggi. Martino, protagonista del film viene etichettato dall'amica Laura come l'essere apollineo, ma anche nel gruppo di amici che frequenta Martino ci sono questi opposti in Andrej (apollineo), la perfezione e l'ordine, mentre Louis (dionisiaco) è il caos e il disordine oppure il padre di Martino e Martino stesso?

«Sì, è in tutto il film, è un riverbero in tutti i personaggi. La mamma di Martino può essere Demetra, il papà di Martino potrebbe essere Zeus. Ho lavorato in maniera molto interna ed è quella l'idea che volevo dare: gli dei, che tu hai colto perfettamente, poi c'è anche il concetto della natura che li circonda».

Un altro aspetto che si coglie nel film è legato al personaggio di Andrej che ha in sé l'essere femminile, che richiama quello che nell'antica grecia, era considerato l'amore puro. In una scena del film, Martino chiede al professore se fosse vero che la Luna stia realmente allontanandosi dalla terra. Il professore, facendo riferimento alla terra come Demetra e alla Luna come Selena, Artemide dice che si sta assistendo alla fine di quello che è un amore saffico. Hai voluto, quindi, lanciare un messaggio legato al concetto di omosessualità, in una società purtroppo omofoba?

«Quella che ho reso nel film è la fluidità della sessualità e dell'identità, proprio per questa decostruzione del concetto di famiglia che è completamente esplosa. L'idea di partenza, quindi, è mettere in discussione la famiglia, il problema parte da essa. Martino va a cercare un'altra famiglia, qualcos'altro. Si va incontro a un'altra idea di amore, un'altra tipologia di apertura e, quindi, ognuno di loro è predisposto a una sorta di libertà di approccio, di attrazione sentimentale e sessuale. È superata l'idea di omosessualità, non ci sono più i generi, c'è l'idea di vivere un sentimento, un eros, una sessualità. Il messaggio è che i muri sono già caduti tra i ragazzi, i personaggi del film sono tutti disinvolti. Non ho voluto fare un passo in più, forse non era il momento, perché nel film, Martino, è ancora vergine e vuole scegliere la sua strada, ho voluto raccontare il momento preciso della sua adolescenza. Magari il momento in cui incontri queste persone che ti cambiano la vita, che ti aprono un altro orizzonte. Io ho fatto un lavoro dedicato alla classicità, non dobbiamo dimenticare che noi veniamo da quel mondo, da quell'idea, da Platone. Tu prima citavi Nietzsche che ha riconsiderato cìò che era di bello nella classicità del mondo greco. Nel film, riproponendo questi concetti classici, ho voluto dire: “Apritevi perché noi veniamo da questa cultura, noi siamo nel mondo della fluidità e degli dei". Il nostro mondo, quella della Magna Grecia, è impregnato di leggende e di miti, quindi, perché ora dobbiamo fare i bigotti? Per me questa è la parte bella della nostra cultura. Noi stiamo uscendo dal bigottismo cattolico, cogliendo la parte bella del cristianesimo che è, forse, la cosa più bella del cattolicesimo, l'unica cosa che mi fa ancora amare il mondo religioso, di questo rivoluzionario che è Cristo, che, secondo me, non è ancora stato capito».

In una scena del film Laura dice a Martino “Non hai la faccia da Martino”. Collegandomi a questa scena, voglio chiederti in base a quali criteri avete scelto gli attori?

«Essendo il mio primo lavoro nel mondo del cinema di grande produzione, avendo lavorato in maniera diversa, ho cercato quella persona nella quale ho riconosciuto l'amico, riconosciuto me stesso. Nel protagonista, ad esempio, ho riconosciuto qualcosa di me alla sua età e ho cercato in loro un collegamento con gli dei, anche se loro non sono gli dei. Il mio intento era far capire che Martino si avvicinasse a loro, perchè li vedeva proprio come degli Dei, loro, infatti, abitano in questo attico che un po' richiama l'Olimpo. Però volevo pian piano condurre lo spettatore a capire che Martino era sulla via sbagliata, infatti, se ne accorge solo alla fine».

Qual è stata la tua esperienza al Social World Film Festival?

«È interessante il luogo nel quale si svolge, senti l'aria del mito. Penso che le intenzioni siano belle, soprattutto, in questo periodo, perché si tratta di film che hanno una tematica sociale e si avvicina a un grande pubblico. Anche il nome stesso Social World, l'idea del mondo, l'idea del pianeta. Noi dobbiamo metterci nell'ottica che esiste un mondo unico ed è come se vivessimo tutti su una stessa isola che, comunque, è un granellino microscopico nell'universo. Pensiamo di vivere in un mondo grande, ma siamo talmente tanti e piccoli che, forse, dobbiamo fare due conti, che però non stiamo facendo, siamo troppo legati al nostro microcosmo ed è molto dannoso per la razza umana».

Quali sono i tuoi progetti futuri e a cosa stai lavorando adesso?

«Nell'attesa di realizzare un altro film come Dei, sto lavorando ad alcuni film miei consecutivi a Folder e L'uomo doppio e sono realizzati con un linguaggio contemporaneo».

Ora è il regista che fa una domanda al giornalista:

Nicola, adesso voglio farti io una domanda. Come hai interpretato il sogno finale rivelatore di Martino quando entra nell'albero?

« Ah! Bene, si ribaltano i ruoli (rido). L'entrare all'interno dell'albero l'ho interpretato come una forma di protezione, come se lui, in quel momento, trovasse riparo e conforto, si sentisse protetto da tutto quanto stesse accadendo nel mondo reale, dal rapporto difficile con la famiglia, con il padre e con la madre. Credo che a volte, una stessa scena, possa essere interpretata in modo diverso da quello che, magari, era l'intento del regista, perché si possono aver vissuto differenti esperienze  e, magari, una stessa scena, può essere letta in maniera differente da diverse persone».

Se tu la leggi in modo differente, a me fa solo piacere!

«Perché nel momento stesso di leggerla, anche in modo diverso, credo che tu abbia raggiunto il tuo obiettivo, quello di comunicare con lo spettatore».